Una chiesa, quella di santa Maria della Misericordia, chiusa da tempo. Un padiglione della 56esima Biennale d’Arte (quello dell’Islanda) e un artista irriverente, Christoph Büchel, noto per i suoi lavori dal forte profilo politico-sociale che ha deciso di trasformare quel luogo (non sconsacrato) in una moschea curandone ogni dettaglio. E “cedendola” poi per sette mesi alla comunità musulmana di Venezia ad uso religioso. Quello che ha preso forma a Venezia, sotto i flash dei quotidiani di mezzo mondo è, oltre che una clamorosa trovata pubblicitaria da parte dei curatori, la messa a nudo di uno dei nuclei più complessi del dibattito veneziano. La città di Venezia, che conta ventimila musulmani ma non ha mai dato la possibilità alla comunità locale di costruirsi una nuova moschea, nonostante sia stato chiesto più volte (in alcuni casi anche con i finanziamenti alla mano). E nonostante siano state proposte “location” differenti. La risposta è sempre stata negativa e ad oggi i fedeli in una stanzetta ricavata in un capannone industriale.
«Una lezione di civiltà» l’ha definita Hamad Mahamed, siriano, teologo, da anni imam della comunità di Marghera. Quella che apre all’interno di Santa Maria della Misericordia a Cannaregio è una moschea vera e propria. Con tanto di preghiera del venerdì già programmata per la prossima settimana.
Per fortuna
il Patriarcato di Venezia non ci sta: nessuna richiesta e nessuna autorizzazione è stata rilasciata per l'allestimento di una moschea nella chiesa di Santa Maria della Misericordia. E poco importa che si tratti di un'opera battezzata dalla Biennale d'Arte, o che la chiesa fosse chiusa al culto dal 1973 ed oggi appartenga a privati e non più a realtà ecclesiastiche.
«Per ogni utilizzo diverso dal culto cristiano cattolico – scrive in una nota il Patriarcato – va richiesta autorizzazione all'autorità ecclesiastica indipendentemente da chi, al momento, ne sia proprietario; tale autorizzazione, per questo specifico sito, non è mai stata richiesta né concessa». Come a dire, di un luogo sacro, se pur inutilizzato, non si può disporre come si vuole, e vale anche per gli artisti.