Giovedì, presenziando ad una raccolta fondi per la campagna democratica, il presidente Joe Biden ha parlato del rischio di un’«Armageddon nucleare». Riferendosi ai giorni di altissima tensione che seguirono la scoperta del dispiegamento segreto di armi nucleari sovietiche a Cuba, Biden ha affermato: «Non pensavamo alla prospettiva dell’Armageddon dai tempi di Kennedy e dalla crisi dei missili cubani», suggerendo che la minaccia di Putin è reale «perché il suo esercito è significativamente sottodimensionato».
Con tono particolarmente informale, circa il presidente russo Biden ha poi aggiunto: «È un ragazzo che conosco abbastanza bene […] non stava scherzando quando parlava dell’uso di armi nucleari tattiche o armi biologiche o chimiche». Biden, infine, ha tenuto ad avvertire che l’uso di un’arma tattica a basso rendimento potrebbe facilmente sfuggire al controllo e finire con una distruzione totale: «Non credo che si possa usare facilmente un’arma nucleare tattica e non finire con l’Armageddon».
Anche Putin ha ripetutamente accennato all’uso dell’arsenale nucleare russo. L’ultima volta il 21 settembre, in concomitanza all’annuncio del richiamo di 300.000 riservisti. «Voglio ricordarvi», ha detto Putin, «che anche il nostro Paese ha vari mezzi di distruzione […] e se l’integrità territoriale del nostro Paese sarà minacciata, per proteggere la Russia e il nostro popolo, useremo sicuramente tutti i mezzi a nostra disposizione». Aggiungendo, con sguardo fisso alla telecamera, che «questo non è un bluff».
L’OROLOGIO DELL’APOCALISSE
Di fronte a questo scenario – “Armageddon” è una parola tratta dall’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, che rimanda teologicamente ad uno scoprire, a un disvelare, a una rivelazione, ma anche, appunto, a una catastrofe –, continuare a discutere e a dividersi su chi abbia iniziato a offendere, rischia di trasformarsi in uno sterile esercizio di stile. Se il rischio è la catastrofe nucleare, come ora afferma apertamente il presidente della più grande potenza mondiale, l’unica strada dovrebbe essere quella di un ostinato, serio e immediato negoziato.
Non solo. A fronte di un Doomsday Clock (l’orologio degli scienziati atomici ideato dopo gli orrori di Hiroshima-Nagasaki per mettere in guardia il mondo dai pericoli di una guerra nucleare), il quale dice che la terra è arrivata a soli 100 secondi alla mezzanotte, cioè allo scoppio di una guerra nucleare, appaiono sempre più oziose le disquisizioni di quegli intellettuali che sembrano fissarsi su questioni secondarie non riuscendo più a vedere l’elefante nella stanza.
LE PATENTI DI CINISMO DISTRIBUITE DALL’ESPERTO
Uno di questi è Vittorio Emanuele Parsi, stimato professore di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica, preoccupato per la «perdita di una società aperta». Invitato recentemente dall’IED (Istituto Europeo di Design) ad un incontro dal titolo omnicomprensivo, Europa tra guerra e pandemia, riscaldamento globale, ascesa delle potenze autoritarie, allargamento delle disuguaglianze. Ne usciremo?, Parsi, pur tra passaggi condivisibili, è sembrato distante da una visione oggettiva dell’attuale (ed esplosivo) stato di cose, limitandosi, con distacco e non senza una certa dose di sarcasmo, a gettare sugli altri l’accusa di cinismo (non diversamente da molti altri commentatori della grande stampa).
Queste le sue parole dirette agli studenti: «Dal punto di vista delle conseguenze pratiche, molti di noi […] potrebbero sostenere: “Ma cosa ce ne frega degli ucraini, io voglio avere il riscaldamento, il prezzo dell’energia basso. Gli ucraini non rompano le balle”. Un atteggiamento cinico ma diffuso. Ecco allora, per chi fosse preda di cinismo, vi inviterei a considerare il costo di quest’operazione. Non c’è dubbio che la guerra ha dei costi, perché distrugge cose […] ma quale sarebbe il costo della vittoria della Russia?».
IN BALLO C’È LA SOPRAVVIVENZA DELLA TERRA
Già qui si imporrebbe una prima obiezione. Davvero la guerra distrugge solo «cose» e non persone? Oltre le cronache di guerra, anche le accorate parole di Papa Francesco nell’Angelus di lunedì 2 ottobre dicono altro: «Mi affliggono i fiumi di sangue e di lacrime versati in questi mesi. Mi addolorano le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini […]. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai!». Procedendo poi nella sua disamina, alla domanda sul «costo della vittoria» russa, Vittorio Parsi si risponde così: «Quei principi di non aggressione, di trasformazione dell’Europa in un posto pacifico, fondato sulla diffusione della democrazia, sulla diffusione di società aperte […] non sarebbero più credibili e validi».
Ora, al di là delle guerre che hanno già provveduto a insanguinare l’Europa (quella nell’ex Jugoslavia è durata dieci lunghi anni), bisognerebbe chiedersi se in un momento in cui a Kiev vengono già distribuite pillole di iodio (che aiutano a bloccare l’assorbimento delle radiazioni); in cui il presidente ucraino Zelensky, gettando ulteriore benzina sul fuoco, chiede alla Nato di lanciare un attacco preventivo alla Russia («senza aspettare le sue mosse, in modo che sappia cosa gli accadrà se usa armi nucleari»), il problema consista davvero – come teorizza l’esperto di Relazioni Internazionali Vittorio Parsi – nel «cinismo» di un popolo terrorizzato che chiede solo pace e lo stop all’escalation.
Forse i termini della questione non sono solo, sintetizzando il professore, «le bollette di oggi contro il mondo di domani»; potrebbero essere, invece, quelli più seri riguardanti la stessa possibilità di esistenza del mondo, contro eventuali nuovi assetti geopolitici europei di domani. È in gioco la sopravvivenza dell’uomo sulla terra, niente di meno; il riscaldamento o i condizionatori di draghiana memoria, nell’analisi, vengono molto dopo.
IL PAPA, LA “REGINA DELLA PACE” E LA DIPLOMAZIA
Ecco allora che Papa Francesco riesce ancora una volta ad essere più realista di tutti, se è vero, come scriveva Romani Guardini, che la storicità della fede e il realismo cristiano sono il risultato dell’«incontro con la realtà», dell’incrocio «tra la carne di Dio e la carne del mondo». Nell’ultimo Angelus, dopo aver messo in allarme i cristiani del mondo sul fatto che «la grave situazione creatasi negli ultimi giorni […] aumenta il rischio di un’escalation nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale», il Papa ha implorato uno sforzo diplomatico nuovo da parte di tutti.
«Dopo sette mesi di ostilità», ha concluso il Papa, «si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!». Infine, tornando idealmente a quella Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria di Russia e Ucraina, seguita in diretta, il 25 marzo scorso, da milioni di persone, Papa Francesco ha ribadito la necessità di quell’intervento celeste che un mondo senza Dio sembra aver da tempo scartato: «Confidiamo nella misericordia di Dio, che può cambiare i cuori, e nell’intercessione materna della Regina della Pace».
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