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Biden istituisce il Ministero della Verità
NEWS 30 Aprile 2022    di Valerio Pece

Biden istituisce il Ministero della Verità

I fatti sono questi (e sono grossi). Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha istituito un “Consiglio per il controllo della disinformazione” (Disinformation Governance Board) al fine di prevenire fake news, specie in tema di guerra e di immigrazione irregolare. «C’è qualcosa di più distopico di un consiglio per la governance della disinformazione gestito dal governo federale?». La domanda del politico repubblicano Willie Montague è la stessa che si stanno facendo milioni di americani.

TORNA L’ORWELLIANO “MINISTERO DELLA VERITÀ”

Il dibattito, su media e social, monta di ora in ora, mentre il neonato (e occhiuto) Disinformation Governance Board viene accostato sempre di più al romanzo “1984” di George Orwell, tanto da mandare in tendenza, su Twitter, l’hashtag “Ministero della Verità” (l’ente pubblico destinato alla censura immaginato dal romanziere).

Il pericolo per cui il potere centrale americano potrebbe controllare e gestire la libertà di parola sul web è autoevidente, tanto che è difficile stare dietro ai tonici commenti delle personalità del mondo conservatore. «È una vergogna progettata per monitorare gli americani», così il senatore del Missouri Josh Hawley, «tanto che all’inizio ho pensato che l’annuncio fosse “satira”». Gli fa eco Errol Webber, già candidato repubblicano allo Stato della California: «Adolf Hitler aveva un Ministero della Verità. Joseph Goebbels aveva un Ministero della Verità. Joseph Stalin aveva un Ministero della Verità. Joseph Biden ha un Ministero della Verità».

ELON MUSK TRASCINATO A DEPORRE

Gran parte dell’opinione pubblica americana, poi, non ha potuto non notare il perfetto tempismo con cui l’amministrazione Biden ha seguito le mosse di Elon Musk, il quale aveva dichiarato l’intenzione di fare di Twitter un «paradiso per la libertà di parola» (ne abbiamo scritto qui e qui). A sintetizzare quella che a molti è sembrata una marcatura a uomo ci ha pensato Troy Nehls, altro politico repubblicano: «Non avevano bisogno di un “Comitato per la governance della disinformazione” fino a quando @elonmusk non ha minacciato il loro controllo sulla narrazione».

Sempre a proposito di tempismo sospetto intorno al magnate (che intanto non ha mancato di giudicare «sconfortante» la nascita del Disinformation Governance Board), è di giovedì sera la notizia che il Partito Democratico americano sta pensando di trascinare Musk in un’audizione, al fine di interrogarlo sui suoi piani. Notizia che a più di qualcuno è suonata come un tentativo di intimidazione. Il senatore Ed Markey, riferisce Bloomberg, ha definito Twitter «centrale per la democrazia e la nostra economia», per cui urge «capire quale sarà la politica del nuovo proprietario». Anche il senatore democratico Richard Blumenthal, parlando di un’America “preoccupata”, ha sostenuto che Musk dovrebbe testimoniare: «Sentiamo una forte urgenza di chiedergli di riferire al Congresso e al popolo americano come affronterà le preoccupazioni che abbiamo sollevato».

TUCKER CARLSON: «MA COS’È LA DISINFORMAZIONE?»

Per ora, comunque, la preoccupazione degli americani non sembra essere affatto la “troppa libertà” garantita da Musk, bensì il neonato Consiglio orwelliano a firma Biden e le garanzie di imparzialità che esso può fornire. Sul punto si è espresso con particolare vigore Tucker Carlson, il più noto giornalista conservatore americano, che in un lungo articolo ha inquadrato la particolare collocazione istituzionale del neonato Consiglio (cosa sfuggita ai più). Nello specifico, Carlson ha ricordato che il Disinformation Governance Board «non fa parte del Dipartimento di Stato o di qualsiasi altra agenzia focalizzata sulle minacce straniere dall’estero», bensì «del Dipartimento della Sicurezza Interna, un’agenzia delle forze dell’ordine progettata per sorvegliare gli Stati Uniti». La star televisiva di Fox News lamenta che se il segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna Alejandro Mayorkas ha spiegato agli americani che «la disinformazione è una minaccia per la sicurezza nazionale [..] quello che non ha detto è come egli intenda definire la disinformazione».

Mancherebbe, come al solito in questi casi, l’oggetto del contendere. Carlson non manca di spiegare anche il perché: l’amministrazione USA «vuole potere, e per ottenerlo ha in programma di controllare ciò che pensi», ciò significa che «i nemici politici di Joe Biden sono ora ufficialmente nemici dello Stato».

NINA JANKOWICZ, NOVELLA MARY POPPINS

A complicare ancora di più le cose c’è la giovane donna che il Presidente degli Stati Uniti d’America ha messo a capo del “Consiglio per il controllo della disinformazione”. Si tratta di Nina Jankowicz, trentatreenne russa, che giorni fa sul caso Musk si è espressa in termini per nulla consoni al suo ruolo di arbitro: «Mi vengono i brividi al pensiero che gli assolutisti della libertà di parola stiano prendendo il controllo di più piattaforme».

Già in passato Nina Jankowicz si era distinta per manifesta partigianeria, mettendo in dubbio, ad esempio, le scottanti notizie intorno al famigerato laptop di Hunter Biden (che da tempo molte testate importanti hanno assicurato essere autentiche). Jankowicz ne aveva liquidato i contenuti prima come «un prodotto della campagna di Trump», e poi come «influenza russa», senza fornire alcuna prova né in una direzione né nell’altra.

Nina Jankowicz è salita agli onori delle cronache anche per una performance canora ad alto tasso politico (eseguita su Tiktok sulle note di “Supercalifragilistichespiralidoso”), in cui si diverte a canticchiare fake news provenienti rigorosamente dagli oppositori delle politiche di aria liberal. Commentando l’exploit dell’attivista democratica novella Mary Poppins, prima Tucker Carlson paragona il neonato “Consiglio per il controllo della disinformazione” all’Nkvd (lo spietato “Commissariato Per gli Affari Interni” operante ai tempi della repressione sovietica), poi chiosa: «Solo che l’Nkvd, anche al culmine delle epurazioni di Stalin, non ha mai fatto karaoke. Aveva troppa dignità».


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