Silvio Berlusconi se n’è andato. Il Cavaliere, che formalmente non era più tale da anni, ma che tale è sempre rimasto nella memoria di milioni di italiani, è morto ad 86 anni all’ospedale San Raffaele di Milano, dov’era tornato lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una forma di leucemia. In mattinata, il fratello Paolo e i figli erano accorsi in ospedale, dove già si trovava Marta Fascina. Imprenditore, leader politico, comunicatore, «il Presidente» – come i suoi non hanno mai smesso di chiamarlo -, è indubbiamente stato un autentico mattatore sulla scena italiana per almeno 40 anni.
Entrato in politica anche grazie a Bettino Craxi, il quale comunque a sua volta fu sostenuto economicamente da lui, Berlusconi nel 1994 – anno della sua discesa in campo – era già, per così dire, Berlusconi: ricchissimo, potente, determinato. Tuttavia, è senza dubbio con l’esperienza politica che il Cav è diventato parte integrante della vita degli italiani, grazie anche al fatto che è stato ripetute volte Presidente del Consiglio. Nei suoi decenni di esperienza istituzionale, risulta difficile isolare dei momenti più significativi di altri. Eppure, è impossibile dimenticare quando nel 2009, sfidando anche l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si attivò in prima persona per cercare di salvare la vita, varando un decreto ad hoc, ad Eluana Englaro. L’apice della sua popolarità fu toccato, sempre quell’anno, con il discorso «di riappacificazione nazionale» tenuto ad Onna in occasione del 25 aprile.
Ciò detto, ricordando Berlusconi non si può neppure dimenticare l’altro volto della sua esperienza politica: l’antiberlusconismo, che all’inizio fu diffuso da tutti, perfini da leader che sarebbero divenuti suoi futuri alleati. Basti ricordare che il Cavaliere era da poco sulla scena politica quando Franca Rame lo definiva «faccia di plastica» (Il Venerdì, 11/2/94), Michele Serra «miliardario ridens» (L’Unità, 19/5/94), Vittorio Sgarbi lo apostrofava come «un prodotto Findus» (Rai Tv, 2/94), Umberto Bossi gli dava del «tubo vuoto, qualunquista» (L’Unità, 2/6/94) e Gianfranco Fini dell’«inesperto» (La Repubblica, 8/4/1994), mentre «autoritario e sprovveduto» era il commento di Norberto Bobbio (La Repubblica, 9/6/1994).
Per quanto alimentato da odio, l’antiberlusconismo è però stato anche un vicolo cieco, alla fine, per la stessa sinistra. Lo hanno ammesso, da quelle parti, anche osservatori non sospettabili di simpatie berlusconiane come Piero Sansonetti, il quale ha avuto modo di registrare come purtroppo l’antiberlusconismo sia «diventato un gigantesco serbatoio nel quale sono state accantonate le energie e le idee della sinistra […] un macigno che» ha frenato «lo sviluppo di nuove idee, di analisi originali, di proposte, di anticonformismo» (La sinistra è di destra, Bur 2013). D’accordo, ma come mai questa sistematica avversione per Berlusconi?
Secondo Alfredo Mantovano, ciò non fu dovuto ad un episodio particolare. Già nel 2011, infatti, Mantovano scriveva: «Convinciamoci, cari amici, che l’odio contro Berlusconi non comincia né si accentua con le escort e con le paginate d’intercettazioni: la Sinistra lo ha odiato fin dal 1994, in quanto capo del centrodestra. Mi rendo conto che, con quello che leggiamo da settimane, dire questo e fare le considerazioni che seguono rischia di essere patetico. Non so se è patetico. So che, se proviamo a prendere le distanze dal fango della quotidianità, è paradossalmente vero».
Continuava ancora il magistrato e politico cattolico: «È vero, cioè, che Silvio Berlusconi, l’uomo che ha introdotto Drive In nelle televisioni, l’uomo delle notti di Arcore e delle telefonate osé, proprio lui, è stato la persona che negli ultimi diciassette anni ha bloccato il progetto di costruire la Seconda Repubblica su basi azioniste. È stato, cioè, l’uomo che si è opposto alla demolizione dei valori della tradizione nazionale. Molti di voi ricordano quel bel film di qualche anno fa, Sliding doors. Visto che l’attacco è concentrato soprattutto sul piano etico, proviamo a immaginare — al netto di questioni istituzionali, o di carattere economico e finanziario — come sarebbero andate alcune vicende negli ultimi diciotto anni se le porte della metropolitana non si fossero aperte, se cioè non ci fosse stato Berlusconi».
In definitiva, secondo Mantovano, tutta una serie di derive legislative – dalla droga all’eutanasia, passando per l’omofobia – sarebbero da tempo arrivate anche in Italia, in assenza di un Cavaliere che, in effetti, anche recentemente ha continuato a dichiarare il suo partito come forza cristiana. Noi ci impegniamo, aveva detto in una recente intervista, per il «rispetto per la vita dal concepimento alla morte naturale, la tutela della famiglia naturale, che ha una funzione diversa da altre scelte di vita, pur rispettabilissime». Una stoccata molto chiara verso le unioni civili, definite sempre da Berlusconi «anticamera della legge Zan».
Insomma, pur con tutti i suoi limiti e le sue umane debolezze, pur perseguendo senza dubbio anche gli interessi propri – e pur con amicizie verso personaggi come Marco Pannella -, Berlusconi ha saputo, nel corso della sua lunga esperienza politica, essere un vero argine a molteplici aberrazioni. Certo, come imprenditore e magnate televisivo ben poco ha fatto, anzi, per arginare il processo di dissoluzione dei valori. Anche come editore, probabilmente, avrebbe potuto fare molto di più per promuovere la cultura politica in cui si riconosceva. Tuttavia, è difficile non esprimere un ringraziamento per quello che comunque il leader di Forza Italia ha saputo fare, frenando molti sinistri disastri. Anche per questo, come Timone, a lui va il nostro grazie (foto: Imagoeconomica)
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