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Benedetto XVI, la sapienza si apprende in ginocchio
NEWS 3 Gennaio 2023    di suor Anna Monia Alfieri

Benedetto XVI, la sapienza si apprende in ginocchio

“Umile lavoratore nella vigna del Signore”. Con queste parole si era presentato al mondo, affacciandosi alla loggia centrale della Basilica di San Pietro, per la sua prima benedizione Urbi et Orbi, papa Benedetto XVI. Definizione migliore non si poteva trovare. Una vita semplice e straordinaria contemporaneamente: la guerra, anni di studio intenso, l’insegnamento presso le più importanti facoltà teologiche della Germania. Anni, quelli che l’allora Joseph Ratzinger ha attraversato, non certamente facili, in nessun campo, tantomeno quello degli studi teologici, attraversati da fermenti di contestazione eterodossa. Eppure quel mite professore ha mantenuto la barra dritta, nel rispetto del magistero della Chiesa e nell’ossequio ai suoi Papi.

Come avrebbe detto anni dopo, ormai divenuto Sommo Pontefice, la vera teologia la si fa in ginocchio, contemplando il mistero divino, non cercando di ridurlo secondo categorie umane. Non a caso Paolo VI, ormai anziano, lo volle nominare Cardinale, destinandolo alla sede di Monaco, volendone così premiare la fedeltà all’insegnamento della Chiesa e del Concilio. Cosa dire poi del rapporto di amicizia profonda con San Giovanni Paolo II che lo volle a Roma quale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E furono gli anni della stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica, della Dominus Jesus, di tanti altri pronunciamenti che certamente non attirarono su Ratzinger le simpatie del mondo. Eppure la tranquillità e la mitezza lo hanno sempre caratterizzato, perché sapeva che davanti alla Verità la simpatia del mondo vale poco, anzi nulla.

Quella stessa franchezza caratterizzava anche i suoi rapporti con il Papa, manifestando le sue perplessità liberamente, come in occasione dei raduni interreligiosi di preghiera ad Assisi. Non a caso, proprio in virtù di questa sincerità, papa Wojtyla, parlando di lui, lo definì il mio grande amico, il cardinale Joseph Ratzinger. Significativa quell’immagine del cardinale Ratzinger che, durante la liturgia del venerdì santo, porge a Giovanni Paolo II, sfiancato dalla malattia, il crocifisso da baciare. Ratzinger da una parte, Sodano dall’altra: due colonne della Chiesa durante gli anni della malattia di Giovanni Paolo II. E gli anni del Pontificato sono stati in linea con il suo passato: la chiarezza delle idee, la straordinaria capacità di parlare a tutti delle realtà più complesse, la bellezza e lo splendore delle liturgie pontificie, nella convinzione che tale bellezza non è vanità ma timida eco della bellezza delle realtà divine.

E davanti agli inevitabili scandali dei molti che ne avevano tradito la fiducia, il silenzio, il perdono, frutto di un cuore grande. E poi la rinuncia al ministero attivo del pontificato: un gesto inatteso ma che ne ha rivelato, se mai ce ne fosse stato il bisogno, la grande libertà di cuore e di spirito. Il ritiro presso il Monastero di Santa Marta, poche uscite, nessun commento: il silenzio, la preghiera, l’ascolto, l’offerta. Un esempio di vita che dice tanto agli uomini di oggi e che invece è stato fatto oggetto di critiche e di attacchi: ma chi pensa secondo le logiche del mondo non può comprendere la vita e l’opera di Benedetto XVI.

La morte silenziosa di Benedetto XVI durante le feste (un po’ come quella di San Paolo VI il 6 agosto, nel cuore delle vacanze degli italiani) stride ancora di più e insegna tanto a ciascuno di noi. Che la vita spesa nel compimento del proprio dovere, senza cordate, senza infingimenti, lontana da logiche di potere è quella, in fin dei conti, più bella, perché tanto più simile a quella del Maestro che sicuramente ora attende il suo Discepolo per dargli quella ricompensa che lui ha promesso al servo buono e fedele che gratuitamente ha ricevuto e gratuitamente ha donato.

(Foto: Imagoeconomica)

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