Padre Olinto Marella, per tutti a Bologna semplicemente padre Marella, è beato. La celebrazione è avvenuta ieri in piazza Maggiore con la messa presieduta dal cardinale Matteo Zuppi che ha esortato tutti a rendere, «come fece Padre Marella, persone i tanti che altrimenti sono solo schiavi, dei senza volto, senza storia e senza valore».
Il cardinale Giacomo Biffi, che aveva aperto la causa di beatificazione di don Olinto nel 1996, descrisse padre Marella dicendo che aveva il desiderio di «aiutare chiunque potesse avere bisogno, e di condividere a fondo la vita dei poveri», un desiderio che «lo portò a farsi mendicante, questuando con il cappello in mano nelle pubbliche vie e davanti ai locali del divertimento». Biffi lo definì «eroe della carità» e per evitare interpretazioni ideologiche della povertà additiva proprio l’esempio di padre Marella per dire che l’amore per il prossimo «va esercitato soprattutto in prima persona». Infatti, aggiungeva Biffi, «il samaritano non è andato a interessare l’Unità sanitaria locale».
Il cardinale Zuppi ha citato anche il cardinale Carlo Caffarra che in occasione del 35° anniversario della morte del beato Marella ricordava «l’angolo di padre Marella», quello che a Bologna conoscono tutti tra via Caprarie e via Drapperie, in pieno centro. È qui che padre Marella si sedeva nel suo sgabello con il cappello in mano per raccogliere offerte da dare ai poveri. Per Caffarra questo angolo è un «luogo preziosissimo» da tenere sempre davanti agli occhi, perché, diceva, «non si oscuri nel nostro spirito la percezione della dignità di ogni persona umana, specialmente la più povera».
Nel ricordo del beato Olinto Marella citiamo un episodio forse poco conosciuto della sua vita sacerdotale, quello di padre spirituale di un’altra santa, Gianna Berretta Molla, che morì nel 1962 dando alla luce la figlia Gianna Emanuela nonostante i medici le consigliassero l’aborto. Il marito di Gianna, l’ingegner Pietro Molla, offrendo una testimonianza proprio su padre Marella ha scritto:
«Tengo ancora vivissimo il ricordo di quanto padre Marella fece per la mia sposa Gianna, nella settimana dal 21 al 28 aprile 1962. Appena seppe che Gianna stava male, corse all’ospedale di Monza in cui era ricoverata, non l’abbandonò nei giorni del suo calvario, celebrando la santa Messa nella cappella dell’ospedale, l’ha assistita nell’agonia, l’ha accompagnata morente alla sua casa di Ponte Nuovo di Magenta, ha benedetto la sua salma, ha assistito ai funerali e la sera stessa della sepoltura disse al parroco: “In tempi in cui la Chiesa era meno burocratizzata, le lacrime, le preghiere, le invocazioni, il trionfo dei suoi funerali, il martirio della sua maternità, avrebbero significato di per sé la canonizzazione”».
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