Il porno negli Usa è sempre più visto come un problema. Non tanto e non solo, si badi, a livello morale o religioso, ma soprattutto politico. E’ difatti di questi giorni la notizia che Jim Banks, Mark Meadows, Vicky Hartzler e Brian Babin, quattro membri del Congresso, hanno inviato una lettera al procuratore generale William Barr per sollevare la questione del porno e delle oscenità e, nello specifico, del rispetto delle normative contro di essi. Una richiesta che ha scatenato un dibattito interno allo stesso mondo repubblicano, dove sostanzialmente ci sono due fazioni: chi ritiene opportune nuove e più restrittive disposizioni contro i prodotti a luci rosse e chi, invece, considera sbagliata ogni ingerenza dello Stato su simili materie.
Quel che è certo che la presidenza Trump non risulta affatto gradita al mondo del porno. Lo dicono i produttori, registi, attrici e attori di video per adulti, già andati in allarme il giorno stesso dell’elezione del tycoon, che guarda caso ha visto i siti Pornuhb e RedTube perdere 23% di visitatori; un cambio di rotta netto se si pensa che Obama, invece, aveva soppresso nel 2011 la Task force di contrasto dell’Oscenità messa suo tempo in piedi da George Bush. Non a caso l’anno dell’ascesa di Trump alla Casa Bianca, il 2016, è stato quello in cui diversi Stati Usa hanno iniziato a prendere severe misure contro i contenuti hard.
Proprio nel 2016, infatti, il Senato statale dello Utah approvò una risoluzione per dichiarare la pornografia un «problema per la salute pubblica». Una svolta imitata da almeno altri 11 Stati a maggioranza repubblicana, che hanno vista una o entrambe le proprie camere approvare provvedimenti di natura simile: nel 2017 è stato in turno di Arkansas, Kansas, Louisiana, South Dakota, Tennessee, e Virginia, seguiti nel 2018 da Florida, Idaho, Kentucky, Missouri, e Pennsylvania. La preoccupazione per la diffusione del porno è tale che sono state create app apposite per bloccare i contenuti a luci rosse.
Un esempio a tal riguardo è «Covenant Eyes», dispositivo progettato da un ex membro della NSA, la National Secuirity Agency americana; non per nulla il funzionamento di questa app non è esattamente discreto, dato che essa esegue degli screenshot dei dati di navigazione dello smartphone che vengono poi decifrati da algoritmi in grado di riconoscere i differenti contenuti: se vengono trovate attività connesse con il porno o il mondo dell’hard, gli screenshot vengono inviati ai genitori del giovane. Una misura, questa, senza dubbio un po’ drastica, ma di indubbia efficacia.
Ora, ma se così tanti Stati americani iniziano a considerare il porno un «problema per la salute pubblica» e si mobilitano perfino membri del Congresso, perché mai in Europa e in Italia non accade lo stesso? La domanda pare lecita dal momento che oltre il 90% dei giovani, secondo dati diffusi recentemente dal settimanale Panorama, hanno condiviso o condividono nei loro telefonini contenuti per adulti o comunque legati al mondo a luci rosse. E tutto ciò, chiaramente, non è senza conseguenze.
Infatti il porno, è cosa dimostrata, svilisce e avvelena il legami affettivi, veicolando nello specifico atteggiamenti ostili alla dignità femminile. Pare in tal senso opportuno riprendere la testimonianza di una donna il cui partner faceva frequente uso di pornografia: «Non sono una persona né il suo partner, ma solo un oggetto sessuale. Quando abbiamo rapporti sessuali, lui non li ha davvero con me, non mi ama. Sembra che stia pensando a qualcos’altro o a qualcun altro, probabilmente ad attrici porno. Lui mi usa come un corpo caldo» (Journal of Sex and Marital Therapy, 2002).
Un altra ricerca, intitolata Age and Experience of First Exposure to Pornography: Relations to Masculine Norms, ha riscontrato – monitorato un campione di oltre 300 persone di età compresa tra i 17 e i 54 anni – almeno due aspetti rilevanti. Il primo: più si è giovani quando si inizia a fare uso di materiale pornografico, maggiore sarà il consumo in età adulta; il secondo: chi inizia a guardare pellicole a luci rosse da giovane sviluppa atteggiamenti più maschilisti e irrispettosi della dignità della donna.
Ci sarebbero insomma ottime ragioni – anche in un’ottica di rispetto della dignità della donna, oltre che di salvaguardia per l’educazione dei giovani – per iniziare a contrastare la diffusione e il consumo di contenuti a luci rosse. Ed è precisamente quello che, come si diceva, sta avvenendo negli Stati Uniti, dove la discussione sull’argomento è decisamente aperto e vivace. Non resta che augurarsi che un simile dibattito arrivi anche in Europa e in Italia, dove il problema non è minore che negli Usa. Solo, per il momento, è meno percepito come tale. Purtroppo.
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