«Che peccato! Aveva una bella intelligenza…»; «Com’è possibile? Proprio lui, così intelligente…!». Sono alcuni dei commenti che spesso si fanno, quando qualcuno che si credeva “buono” cade in errore o in peccato. Per qualche motivo, infatti, si tende a far corrispondere un intelletto ben funzionante – quindi l’intelligenza – a una prova di virtù.
L’intelligenza è sicuramente qualcosa di ammirevole, proprio nel senso etimologico del termine (che stupisce, a cui si guarda con meraviglia e, quasi inevitabilmente, con stima). Ma l’intelligenza, di per sé, non è virtù, né è indice di bontà. Piuttosto, a fare di una persona una persona virtuosa è un’altra facoltà dell’anima: la volontà (ben orientata).
«Pace in terra agli uomini di buona volontà…». La buona volontà, a differenza di un buon intelletto, non è un dono del Cielo. L’intelletto, infatti, può essere anche descritto come un talento o un dono, uno dei sette dello Spirito Santo. E il fondamento del vizio o della virtù di un uomo non può evidentemente risiedere in questo, in qualcosa che gli è stato dato gratuitamente!
Piuttosto, si deve considerare chi “autonomamente” lui sceglie di essere. L’aiuto di Dio, anche attraverso il dono che gli ha fatto, non gli mancherà. Il punto è: avendo inteso il bene, o avendo la capacità di intenderlo, vi aderirà? Avendolo appreso, anche, studiato…
Il più illustre intelligente decaduto è Lucifero, ora satana. Ma tanti altri personaggi “diabolici”, tra gli uomini, sono o sono stati molto acuti e colti. Il problema “di chi guarda”, dei commentatori di cui sopra, è che non distinguono tra intelligenza dei mezzi, che è stupidità dei fini, e intelligenza dei fini, che è stupidità dei mezzi. I cristiani, e prima ancora Cristo con la “stoltezza” della Croce, si collocano tra chi ha un ingegno del secondo tipo.
I mezzi, le potenzialità, sono nulla senza il controllo. Anzi: più sono esorbitanti e strabordanti, più è facile che portino fuori strada, proprio perché è così difficile gestirli.
Da un grande potere deriva poi una grande responsabilità. Luca 12,47-48: «Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Citiamo a questo proposito santa Edith Stein, che, nel conversare col suo intelligente maestro Husserl, ebbe una curiosa delicatezza: avendo constatata la profondità con cui comprendeva i misteri della fede – lui lontano dalla fede –, volle quantomeno cambiare discorso, per non aggravare la sua responsabilità.
Insomma, come abbiamo visto, ci sono due modi per essere intelligenti, e non entrambi salvano. Si può dire a ragione che un peccatore non è intelligente, cioè che non ha intelligenza dei fini, certo quella che conta di più. Questa, che potremmo definire la “vera” intelligenza, si conosce dalla buona volontà, dalla volontà di fare il bene. «Da questo conosceranno che siete miei discepoli…» (Gv 13,35). Ma risuona anche Deuteronomio 4,6: «Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”».
Con ciò, tra l’altro, abbiamo confutato la teoria dell’intellettualismo etico («se uno conosce il bene, è impossibile che non lo faccia»). È pur sempre vero che l’intelletto aiuta la volontà, l’abbiamo detto, ma sbaglia chi gli attribuisce un super potere, addirittura decisivo per la salvezza o almeno il comportamento retto di un uomo. Tanto più che la tentazione non colpisce la razionalità, ma l’emotività. Si gioca su tutt’altro livello! Per non soccombere, servirebbe più che altro un’emotività stabile. Della razionalità, in quei momenti, ce ne si fa ben poco.
“Emotività stabile”, anche detta serenità, equilibrio emotivo, oppure autocontrollo. Riecco la volontà: è sempre possibile forzarci ad aderire al bene conosciuto, una volta che si è… conosciuto, invece, di star assecondando le proprie debolezze (dovute ad antiche ferite “attuali”, o semplicemente dalla ferita “originale”). È in base a questo che saremo giudicati; poiché in questo sta il fondamento del merito e del demerito, del vizio e della virtù, del premio e del castigo.
L’intelletto, in fondo, non è nostro, non ce lo siamo “meritati”. La buona volontà, invece, è una conquista tutta nostra, di cui andare tanto più fieri quanto più è costata, in termini di dolore. Perché fare violenza a se stessi è davvero smart… qui nel senso di doloroso, se conoscete bene l’inglese. 😉 (Foto: Pexels.com)
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