Ve lo ricordate il Tamagotchi, croce e delizia dei bambini degli anni Novanta? Era un gioco portatile creato in Giappone, nel 1996 e diffusosi poi, rapidamente in tutto il mondo, che consisteva in un ovetto con lo schermo in bianco e nero, all’interno del quale si schiudeva un uovo virtuale, da cui veniva fuori una specie di pulcino alieno che richiedeva cure costanti e regolari, senza le quali andava incontro alla morte.
Proprio l’accudimento continuo del pulcino portò presto alla sua messa al bando perché si scoprì che creava dipendenza nei bambini che ci giocavano e portava ad una vero e proprio attaccamento distorto nei confronti degli esseri umani e persino degli animali domestici reali.
Ci chiediamo allora a che razza di relazioni daranno vita, i cosiddetti “bambini Tamagotchi”, veri e propri figli virtuali che andranno, si stima tra una cinquantina d’anni massimo, a sostituire la prole reale, frignante, maleodorante (ma tanto concreta!) di una generazione che, a confronto, sembrerebbe “preistorica”.
Tutta roba superata! Il bambino perfetto, è il bambino digitale: non piange non sporca e poco importa se non esiste nemmeno, come afferma chi ha annunciato questa assoluta novità, Catriona Campbell, psicologa comportamentale, ed esperta di intelligenza artificiale che ha affrontato l’argomento in modo approfondito nel suo libro AL by Design. A Plan for Living with Artificial Intelligence. Secondo il suo piano per vivere con l’intelligenza artificiale, i bambini tamagotchi “esisteranno per i loro genitori” (e tanto basta!).
I piccoli del futuro verranno alla luce premendo un pulsante, cresceranno in tempo reale e daranno, come sottolinea soddisfatta Campblell “risposte emotive simulate” e, soprattutto, saranno acquistabili grazie ad un abbonamento mensile dai prezzi molto contenuti (intorno alle venti sterline).
Insomma, siamo addirittura oltre l’utero in affitto! E sì perché non basta la vergognosa compravendita di bambini attraverso la maternità surrogata, che già di per sé frammenta l’idea e l’esperienza della maternità, tra chi affitta l’utero, chi gli ovociti e chi acquista il bambino e dovrebbe crescerlo, qui siamo veramente oltre ogni immaginazione: siamo alla polverizzazione stessa della relazione genitori e figli e ciò che è più grave, mistificandone la crudezza, attraverso un fantoccio che si prende gioco della realtà e dell’esperienza.
Tuttavia, la cosa ancora più inquietante è che l’entusiasmo con cui l’esperta di intelligenza artificiale ne ha dato la notizia, è dovuto al vero fine ultimo di questa generazione digitale: risolvere definitivamente il problema della sovrappopolazione. Che dire? Ci meritiamo l’estinzione? Di più! Ci stiamo lavorando alacremente per raggiungerla, se i dati sulla decrescita demografica hanno superato ormai ogni livello di allarme e la soluzione sarebbe trasferirsi nella realtà virtuale.
Ma che importa, il bambino digitale eviterà la gravidanza con tutte le sue noie, l’esperienza dolorosa del parto, tutti i sacrifici dovuti all’essere padre e madre. Già perché il vero motivo per cui l’inquietante sviluppo della realtà del metaverso sta prendendo sempre più piede è proprio il rifiuto dell’umano nella sua caratteristica più strutturale che è la vulnerabilità, nell’anima e nel corpo. Quando amiamo qualcuno, in particolar modo, diventiamo vulnerabili. Anche l’amore genitoriale ci rende “esposti” alle delusioni, alla fatica, ai sacrifici, dettati da uno slancio di amore che sa di eterno. Invece il bambino tamagotchi no, ci permette di prendere le distanze dai sentimenti, quelli veri, fatti di alti e bassi, carne e anima, rimandando però, continuamente il compimento della nostra vera felicità ad un tempo indefinito.
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