A tre settimane dall’annuncio del presidente Donald Trump della sua nomina alla Corte Suprema per andare a occupare il posto lasciato libero dalla morte di Ruth Bader Ginsburg, sabato 26 settembre, la cattolica e pluri-mamma Amy Coney Barrett è ancora nell’occhio del ciclone, anche alla luce delle audizioni e disamine di questi giorni da parte del Senate Committee on the Judiciary, che deve andare a confermare o meno la sua candidatura. Conferma che, oltre che sulla persona in sé, vede i repubblicani e i democratici in contrasto anche sui tempi in cui deve essere fatta: se i primi, infatti, si stanno muovendo affinché questa avvenga prima delle elezioni presidenziali del 3 novembre, i dem cercano di rallentare i tempi. Ad ogni modo, ad oggi una prima votazione è fissata per martedì 22 ottobre, con un voto di conferma finale previsto entro la fine del mese.
Mentre la politica fa dunque il suo corso, l’America fa i conti con questa nuova figura, destinata con ogni probabilità a diventare il sesto giudice di ala conservatrice sui nove totali che siedono nel “tempio” del diritto americano. Già durante il discorso tenuto alla Casa Bianca in occasione della sua nomina, la Barret non aveva fatto segreto del suo attaccamento alla famiglia («I nostri figli», aveva affermato, «sono la mia gioia più grande, anche se mi privano di ogni ragionevole quantità di sonno») e della sua visione per cui la scelta vincente, nella vita privata come nella carriera, sia quella di mettersi a servizio: «Se confermata», aveva affermato ancora, «[…] assumerei quel ruolo solo per servire». Servire in un’ottica di giustizia, come ha peraltro esemplificato in questi giorni nel rispondere su varie tematiche “controverse” – dall’aborto, al controllo delle nascite, dalla libertà religiosa alla possibilità delle chiese di accedere a fondi pubblici, passando per l’Affordable Care Act e il Voting Rights Act – ai senatori dem che la interrogavano, ma anche nel trovarsi di fatto costretta a difendere la sua famiglia numerosa, la sua scelta di adottare due bambini e soprattutto il suo essere una mamma lavoratrice.
Ebbene, questa sua presa di posizione sul modo di concepire la vita, portata avanti con serenità e determinazione, ha interrogato diverse donne, mamme, lavoratrici cattoliche americane. Tanto che il Washington Post ha pubblicato un articolo dal titolo: Molte donne cattoliche si rivedono in Amy Coney Barrett. Altre ci vedono uno standard impossibile. Nel pezzo si dà voce a diverse posizioni: «Ammiro seriamente la sua storia», afferma una madre lavoratrice incinta del suo terzo figlio, alla quale si affianca una donna cattolica con 8 figli: «Non l’ho mai incontrata, ma la sento come una vecchia amica»; si cita quindi l’iniziativa di un gruppetto di mamme, che su Twitter hanno lanciato l’hashtag #postcardforAbc per rimettere a tema, con le foto dei propri figli, una domanda spesso scomoda quale: «Cosa puoi fare di più grande se non crescere i bambini?»; e se c’è chi, come Rachel Harkins Ullmann, direttrice esecutiva del Given Institute, «vede la Barrett come un esempio moderno di quello che Papa Giovanni Paolo II chiamava “un nuovo femminismo”», all’estremo opposto si ha anche il giudizio espresso dalla professoressa di studi religiosi al Manhattan College di New York Natalia Imperatori-Lee, per la quale la Barret sta mostrando un modello di donna pressoché irraggiungibile, laddove «puoi essere vergine ed essere una mamma. Puoi avere un grande successo nella tua carriera ed essere una moglie perfetta e sottomessa».
Tante le posizioni, dunque, come tanti sono i vissuti delle donne e delle mamme e gli agganci intimi che la figura della Barret muove in ognuno. Tuttavia, un dato appare abbastanza trasversale: la constatazione che tanti interrogativi emersi in questi giorni sulla vita privata del nuovo giudice nominato da Trump, alcuni anche al limite del rispettoso, non sarebbero stati posti in esame se la Barret fosse stata… un uomo.
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