Antiabortista e fondamentalista. Così il Corriere della Sera sui suoi canali social definisce la candidata più papabile alla Corte suprema americana. L’articolo, a firma dell’inviato Giuseppe Sarcina, attacca così: «Amy Coney Barrett, 48 anni, sette figli, due dei quali adottati ad Haiti, cattolica fondamentalista e fieramente anti abortista». Be’, avrà anche dei difetti, si suppone.
A mettere in guardia dalla nomina della Barrett, comunque, non è solo il quotidiano di via Solferino, anche l’Huffington Post titola «l’antiabortista Amy Coney Barrett al posto di Ginsburg, la tentazione di Trump», dove è implicita l’impresentabilità di un candidato che addirittura arriva ad essere, come scrivono nell’articolo, «cattolica devota e fortemente contraria all’aborto». Stessa solfa sul Tg de La 7: «Amy Coney Barrett, 48 anni, 7 figli cattolica fondamentalista anti abortista». Si unisce al coro Paolo Mastrolilli su La Stampa, che a sua volta definisce la Barrett «cattolica devota» e poi aggiunge: «Per quindici anni Amy ha insegnato legge all’università di Notre Dame, e in quel periodo aveva detto che “la carriera legale non è un fine, ma un mezzo, e il fine è costruire il Regno di Dio”. Quindi aveva affermato di considerare sbagliata la sentenza Roe vs. Wade, che nel 1973 aveva legalizzato l’aborto». Uno scandalo, insomma.
Inutile andare avanti, come da copione i media mainstream sono ancora una volta allineati. Peccato, non fosse stata rea di essere contraria all’aborto, con l’aggravante di essere cattolica, per di più devota, o «fondamentalista», i media avrebbero senz’altro accolto con giubilo la promessa di un presidente americano che afferma: «Presenterò un candidato la prossima settimana. Sarà una donna con grande talento e molto brillante». Ovviamente a patto che il presidente in questione non sia Donald Trump.
Ma c’è un nemico più odiato perfino del presidente più contestato di sempre, ed è l’idea che si possa essere contrari all’aborto, che addirittura un giudice della Corte suprema possa esserlo e soprattutto che possa incidere sulle politiche relative alla vita nascente nella terra dei diritti, gli Stati Uniti. La prova uguale e contraria l’abbiamo vista, sulle medesime pagine, qualche giorno fa, con la celebrazione di Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte suprema morta appunta lo scorso fine settimana. Nessun giornalista l’ha ovviamente definita «abortista», perché dai, non sta bene, meglio usare «icona del femminismo» o «pioniera dei diritti delle donne». Il politicamente corretto innanzitutto.
Nell’attesa di sapere se la Barrett verrà effettivamente nominata, prendiamo atto ancora una volta che l’aborto, nell’America delle libertà ad ogni costo, è ancora una questione degna di tenere acceso il dibattito politico, e che ancora esistono candidati liberi al punto di dire di essere contrari alla soppressione di una vita nel grembo materno. Gli italiani dovrebbero prendere esempio, soprattutto i cattolici, forse allora anche i media dovrebbero prendere atto, obtorto collo, che non per tutti è un diritto. E soprattutto che il vento – prima o poi – può anche cambiare.
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