«Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”» (Gen, 26).
Questo noto e importante passaggio della Bibbia ha sempre portato a ritenere l’uomo superiore agli animali. Tuttavia, oggi la piramide che vedeva l’uomo posto al vertice pare non essere più valida: uomini e animali sono sempre più spesso affiancati, ritenuti degni di uguale dignità.
Anzi, talvolta viene pure il dubbio che ora siano gli uomini a servizio degli animali, non più viceversa: basta fare caso a quante persone si trovano costrette a portare fuori il cane nelle rigide sere d’inverno, oppure a quanti scelgono il luogo di vacanza in funzione degli animali domestici o, ancora, a quanti percorrono le vie della città con un passeggino (!) con dentro il loro amico a quattro zampe… Ma, se questi possono risultare per alcuni dati poco oggettivi, stiamo ai numeri: secondo le ultime statistiche in Italia ci sono ben 60 milioni di pet, quindi di fatto un rapporto 1:1 con i cittadini.
Sorprende dunque fino a un certo punto il fatto che – a seguito dell’enorme pressione delle associazioni animaliste -, a partire dal prossimo 6 febbraio la Protezione Civile avrà tra i suoi doveri anche quello di soccorrere e assistere gli animali. A sancirlo è il Decreto Legislativo n. 224, pubblicato in Gazzetta Ufficiale con il titolo “Codice della protezione civile”, il quale all’art. 1 cita: «Il Servizio nazionale della protezione civile, di seguito Servizio nazionale, definito di pubblica utilità, è il sistema che esercita la funzione di protezione civile costituita dall’insieme delle competenze e delle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo».
Siamo ormai al paradosso: per legge, gli animali vanno salvati; invece i bambini nel grembo materno, quelli che alcuni si ostinano ancora a definire “grumi di cellule”, possono essere uccisi: in Italia, a quarant’anni dall’approvazione della legge 194, il numero di morti innocenti ammonta a più di sei milioni, aborti clandestini e aborti chimici (con spirale, pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo…) esclusi.
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