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Anche l’«oasi» di Hong Kong viene inghiottita dalla repressione cinese. Il comunismo è vivo e vegeto
NEWS 18 Gennaio 2016    

Anche l’«oasi» di Hong Kong viene inghiottita dalla repressione cinese. Il comunismo è vivo e vegeto

di Gianni Criveller

 

È la fine di Hong Kong. Hong Kong, come l’abbiamo conosciuta e abitata finora, non c’è più. La Hong Kong del “un Paese – due sistemi” doveva durare almeno 50 anni, ha resistito solo per 18. La fine è arrivata con ben 32 anni in anticipo. La data di morte è il 30 dicembre 2015, poco dopo le 18. Alcuni testimoni avrebbero visto degli uomini costringere l’editore Lee Bo ad entrare in un furgone. Da allora non si sa più nulla di lui (v. foto). La moglie, disperata, ha ricevuto una telefonata da lui in cui, usando in modo innaturale la lingua mandarina, diceva di trovarsi in Cina, e che doveva assistere le autorità in un’indagine. Nel mese di ottobre altri tre piccoli editori erano spariti mentre si trovavano in Cina. Una quarta persona, pure piccolo editore di Hong Kong, era sparita mentre si trovava in Thailandia. Cinque editori di Hong Kong spariti nel nulla, come succede solo nei peggiori regimi fascisti, comunisti e militari. Avevano in comune la produzione e vendita di libri critici verso il partito comunista cinese. Libri che andavano a ruba proprio tra i turisti dalla Cina in visita a Hong Kong. E avevano in preparazione un nuovo libro, critico e forse salace, sul presidente Xi Jinping.

In passato ho scritto tante volte che a Hong Kong non c’è la democrazia, ma c’è almeno la libertà. Oggi non lo posso più affermare. Residenti di Hong Kong erano già stati imprigionati per motivi politici mentre erano in viaggio in Cina. Ma le operazioni di sicurezza politica cinese non si erano mai spinte fino all’interno di Hong Kong. Come ha giustamente osservato il leader democratico Lee Cheuk-yan, il sequestro di Lee Bo è quanto di peggio la gente di Hong Kong possa temere. Sparire nel nulla, nelle mani di agenti cinesi. La gente si è sempre sentita sicura a Hong Kong. Ora non lo è più. La polizia afferma che non c’è nessuna registrazione che dimostri che Lee Bo abbia passato la frontiera. Il governo di Hong Kong dice di non saperne nulla. C’è da credergli, dato che non conta niente. Gli agenti segreti non chiedono autorizzazione per procedere contro i dissidenti, né usano procedure legali. Le autorità della Cina tacciono. Anzi, qualcosa hanno ammesso: Lee Bo, pur avendo un passaporto britannico, rimane un cinese. Singolare concezione delle regole internazionali.

Le conseguenze del misterioso sequestro sono devastanti. I libri critici verso il regime cinese sono stati tolti dalle librerie della città. Yu Jie, dissidente cinese, che vive peraltro negli Usa, ha annunciato che Open, una casa editrice di Hong Kong, ha rinunciato a pubblicare il suo libro, già ultimato, sul leader Xi Jinping. L’editore capo di Open Magazine, la principale rivista-osservatorio di Hong Kong sulla Cina, ha annunciato che emigrerà negli Stati Uniti nelle prossime settimane. Chi si è esposto ha paura. Hong Kong era stata dispregiativamente descritta, dall’interno della Cina, come un ‘deserto culturale’. Era un’affermazione ingiusta. Ma ora sta diventando davvero un deserto culturale e conformista. Attraverso l’autocensura, con il minimo sforzo, il regime di Pechino ottiene risultati strepitosi.

Questa non è l’inizio della fine. È la fine. L’inizio è stato quando, ormai da qualche anno, non si è voluto in nessun modo dare vita al processo democratico per rispondere alla richiesta della popolazione e alle indicazioni della Basic Law, che regola la vita costituzionale di Hong Kong. L’agonia di Hong Kong durerà ancora qualche anno. Il mondo editoriale è già in mano ad amici del potere, compreso, purtroppo, il quotidiano in lingua inglese South China Morning Post. I giornalisti critici sono stati esclusi uno dopo l’altro, ma senza colpi di scena, e in poco tempo la soffice epurazione sarà completata. Verrà il momento in cui anche al mondo della scuola e poi a quello delle religioni verrà chiesto l’allineamento. È questione di tempo.

Nel frattempo già da qualche anno alcuni residenti di Hong Kong impegnati civilmente, compresi alcuni missionari stranieri, ricevono visite non richieste di gentili “studiosi” cinesi. Vengono fatte tante domande, richiesti punti di vista e informazioni. I loro modi sono cortesi e generosi, ma il senso di tali visite è purtroppo, fin troppo ovvio.

Le cose, in genere, non sono più complicate di quanto appaia. Basta aver occhi per vedere. Sotto il leader Xi Jinping il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa stanno drammaticamente facendo dei passi indietro. In Cina continua l’arresto, la sparizione o altri provvedimenti restrittivi contro i giornalisti. Salgono a 49 i giornalisti arrestati; mentre i giornalisti stranieri scomodi sono espulsi, l’ultimo caso riguarda la francese Ursula Gauthier, che aveva scritto un articolo circa la repressione subita dalla popolazione Uighur nella Cina occidentale. Purtroppo anche gli avvocati per i diritti umani, che costituivano una vera speranza, sono presi di mira. Più di 700, tra avvocati e collaboratori, sono stati sequestrati, arrestati, o impediti di operare.

Dal 2009 ben 145 fedeli tibetani si sono immolati con il fuoco in protesta contro la politica oppressiva in Tibet. Una tragedia sostanzialmente ignorata. Anche i cristiani soffrono. Più di mille croci sono state demolite, e numerose chiese. E soprattutto c’è il triste e inquietante caso di Wei Heping, un giovane e coraggioso prete della comunità cattolica sotterranea, trovato morto nel fiume Fen nello Shanxi in circostanze gravemente sospette. La tragedia è avvenuta lo scorso 7 novembre 2015. In un primo tempo, la polizia ha sbrigativamente classificato il caso come suicidio. Ma non è così. Da parte di molti c’è la convinzione che si tratti di una morte violenta, causata dal suo influente attivismo tra i giovani e in internet. Molti fedeli lo considerano un martire. Se così fosse, sarebbe il primo prete ucciso in Cina negli ultimi 25 anni. Un caso che fa pensare al prete polacco Jerzy Popiełuszko, ucciso da agenti governativi nel 1984, oggi beato. A Hong Kong Wei Heping è stato ricordato da centinaia di fedeli lo scorso 30 dicembre, proprio nelle stesse ore in cui Lee Bo veniva deportato in Cina.

Un amico giornalista non condivide del tutto il mio pessimismo circa le sorti di Hong Kong. Dice che Hong Kong ce la farà. Spero di cuore che abbia ragione. Il mio non è un pessimismo malinconico, ma una semplice lettura dei fatti. Le cose sono quasi sempre come appaiono, e finiscono quasi sempre come si prevede. Gli ultimi avvenimenti ci hanno mostrato che il destino di Hong Kong e della Cina è ormai lo stesso. Non ci sarà più libertà a Hong Kong, senza che la stessa libertà arrivi anche per la Cina.