Di seguito il testo dell'intervento letto da suor Ljubica Šekerija all'incontro del Papa con i sacerdoti e i religiosi, sabato nella Cattedrale di Sarajevo.
Santo Padre!
Il mio nome è suor Ljubica Šekerija. Appartengo alla Congregazione delle Suore delle Figlie del Divina Carità. Prima della guerra, per più di cinquanta anni le suore della mia congregazione si sono prese cura delle persone anziane e disabili nel territorio di Travnik, in Bosnia centrale, arcidiocesi di Vrbosnia. Ho lavorato per cinque anni nel sanatorio civile che ospitava pazienti di diverse nazioni e confessioni, soprattutto musulmani.
Quando è scoppiata la guerra in Bosnia ed Erzegovina, sono comparsi miliziani stranieri provenienti da alcuni paesi arabi del Medio Oriente.
Nel giorno della festa di Santa Teresa d'Avila, il 15 ottobre 1993, verso le undici del mattino, cinque miliziani stranieri, tutti armati, hanno fatto irruzione nella casa parrocchiale dove stavo preparando il pranzo per i sacerdoti don Vinko Vidaković e don Pavo Nikolić che sono rimasti unici pastori nel territorio di Travnik. I miliziani mi hanno costretto ad andare con loro. Con la coercizione fisica mi hanno fatto salire su un camion. Attorno al camion si sono radunati i cittadini di Travnik non cristiani che, sbeffeggiandomi, hanno applaudito l’atto di quei miliziani armati. Sul camion ho trovato il parroco di Travnik, don Vinko Vidaković, che all’epoca era molto malato, e tre laici che lavoravano nella Caritas parrocchiale. Mi hanno bendato gli occhi con il mio abito religioso e hanno fatto lo stesso agli altri con i loro vestiti. Il camion si è fermato al loro quartier generale, che si trovava in un villaggio chiamato Mehurići, vicino a Travnik. Ci hanno chiuso in una stanza e lì ci hanno tolto le bende dagli occhi e ci hanno preso le nostre cose personali. Nella mia tasca hanno trovato il rosario. I miliziani hanno costretto il parroco don Vinko a calpestare il mio rosario con le sue scarpe. Lui ha rifiutato di farlo. Uno dei miliziani, sguainando la sua spada, ha minacciato il parroco di massacrarmi se non avesse calpestato e profanato il rosario. Allora ho detto al parroco: "Don Vinko, lasciate pure che mi uccidano, ma, per l’amore di Dio, non calpestate il nostro oggetto sacro!" Alla fine, uno di loro ha preso il rosario e lo ha gettato a terra, sul pavimento, uscendo dalla stanza e lasciandoci soli. Subito ho raccolto i pezzi del rosario e con le unghie ho strappato il materasso nascondendovi dentro i grani del rosario. Poco dopo i miliziani sono tornati di nuovo e hanno chiesto prima al parroco e poi a me quanti bambini avessimo e se avessimo i genitori dove sono.
Abbiamo risposto che noi non avevamo figli. Uno di loro ha notato l'anello al mio dito e ha cercato di togliermelo, ordinandomi di toglierlo subito. Allora ho tolto il mio anello religioso, così intimo e sacro per me, e l’ho consegnato ai soldati. È stato molto difficile per me… A questo punto, uno dei miliziani stranieri, in bosniaco stentato, mi ha detto: "Voi non avete padri o madri? Vedete, il fucile mitragliatore è la mia mamma, e il mio papà, e la mia moglie ed i miei figli". I miliziani ci provocavano costantemente e ci umiliavano rivolgendoci parole oscene e volgari, poi ci hanno picchiato con calci e percosse. In quei momenti difficili, il parroco don Vinko ci ha detto sottovoce: "Non temete, vi ho dato l'assoluzione a tutti. Ora siamo pronti a morire in pace!". Queste parole sono state per tutti noi una consolazione immensa. Quella notte ci hanno picchiato tutti. Uno dei miliziani ha chiesto il mio nome. Ho risposto che mi chiamo Ivka. Lui ha replicato: "D’ora e poi non sei più Ivka, ma Emšihata". Mi sono seduta con le braccia incrociate, ma uno dei miliziani mi ha subito ordinato di stendere le mani, dicendo che solo Satana tiene le braccia incrociate. In quel momento ho sentito la canna del fucile sulla mia fronte e una voce che mi ordinava di confessare l'Islam come unica e vera religione. Ero spaventata ma restavo zitta, e la stessa voce mi ha ordinato di non riferire a nessuno quelle cose, altrimenti la mia testa sarebbe finita all'inferno. Ho pensato che fosse arrivato il momento della mia morte.
Uno dei miliziani è entrato e mi chiesto se avessi la fame. Ho detto di sì e lui mi ha offerto una pera dicendo: "Ecco, vedi, i soldati stranieri non stuprano e non uccidono… però meglio se stai zitta e non parli di questo a nessuno, altrimenti la tua testa finisce all'inferno." Ho risposto: "Sono stata catturata da un miliziano straniero, ora sono liberata da un miliziano straniero."
Il parrocco Vinko Vidaković è rimasto nel carcere tre giorni di più ed io sono stata riportata a Travnik e poi liberata. Sono entrata nel mio monastero, erano le otto di sera. Subito mi sono diretta verso il Santissimo, ed ho visto, nella nostra cappella di san Leopold Mandića, le mie consorelle inginocchiate davanti al Santissimo che pregavano per me "con digiuno, con pianto e lamento" (Gioele 2,12).
Padre Santo! La ringrazio di cuore per la Sua visita, che ci incoraggia e ci rafforza nella nostra vocazione. Questa è la mia testimonianza, ma ci sono anche altre suore, religiosi e sacerdoti che durante l'ultima guerra in Bosnia ed Erzegovina hanno sperimentato sofferenze simili. Per quanto i nemici siano stati insensibili e malvagi, ha sovrabbondato la grazia di Dio (cfr. Rom 5,20) su di noi.
Per tutto questo rendiamo grazie a Dio!
Grazie, Santo Padre!
s. Ljubica Šekerija, FDC