Lo scorso 20 maggio il Card. Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna, ha tenuto a Pavia, con grande giovamento intellettuale e spirituale dei presenti (fra cui chi scrive), una conferenza il cui tema era ben descritto dal titolo: «Permanere nella verità di Cristo. Famiglia, Sinodo, modernità: l’Esortazione Amoris Laetitia».
Il Cardinale ha illustrato in modo esemplare il contenuto della dottrina della Chiesa sulla famiglia, menzionando anche i passaggi di Amoris Laetitia che la richiamano e la esprimono congruamente. Poi, ovviamente, ha affrontato il tema dei temi: il capitolo VIII dell’Esortazione, quello relativo alle famiglie ferite e, così, alla cruciale questione della comunione ai fedeli civilmente divorziati e risposati.
La tesi sviluppata da Sua Eminenza è questa: il capitolo VIII di Amoris Laetitia è ambiguo, come dimostra il fatto stesso che alcuni lo interpretano in senso tradizionale, altri in senso antitradizionale (il Cardinale non ha usato queste parole, ma il concetto era quello; in quanto ambiguo non è idoneo ad introdurre alcun cambiamento né dottrinale né disciplinare; anzi, non può che essere interpretato in senso conforme alla dottrina già consolidata. Conclusione: sul piano della comunione ai divorziati risposati, Amoris Laetitia non cambia nulla. La sua eventuale innovatività si colloca altrove, su un piano che il Cardinale non ha potuto illustrare per ragioni di tempo, anticipando, però, che il tema sarà trattato diffusamente nella versione scritta dell’intervento, disponibile a breve sul suo sito.
Gli argomenti del Card. Caffarra compongono il cuore della “strategia difensiva” dispiegata dopo Amoris Laetitia da una larga parte degli oppositori della “tesi Kasper”; o meglio, di coloro che fino all’Amoris Laetitia erano identificabili come tali, e che oggi, più ampiamente, dovremmo chiamare gli oppositori della “tesi aperturista”, che non appartiene più al solo Card. Kasper e ai suoi seguaci, ma che è stata fatta propria, per esempio, anche dal Card. Schönborn.
È una strategia imperniata sul presupposto che l’ambiguità di Amoris Laetitia ne costituisca una debolezza, da sfruttare per neutralizzare gli effetti dell’Esortazione e trattarla, in definitiva, tamquam non esset, con conseguente confermata validità di dottrina e disciplina tradizionali.
Questo approccio è, allo stesso tempo, indispensabile e insufficiente.
Indispensabile, perché conferma l’inderogabilità e la luminosa coerenza della dottrina della Chiesa in materia di matrimonio, confessione ed eucarestia; insufficiente, perché non affronta la questione cruciale posta dall’Amoris Laetitia: questione che non è interpretativa.
Nella visione degli “aperturisti”, infatti, l’ambiguità dell’Esortazione non ne è il tallone d’Achille, ma il vero punto di forza, quello che raggiunge l’obiettivo strategico di aprire una falla nella inderogabilità della dottrina e, così, della stessa Tradizione. È vero, come ha detto l’altra sera il Card. Caffarra, che intorno ad Amoris Laetitia si organizzano due schieramenti; ma la frattura non è tra coloro che vogliono scioglierne l’ambiguità in senso tradizionale, e coloro che vogliono scioglierla in senso progressista. La frattura separa chi la ritiene ambigua, e chi, invece, la ritiene chiarissima proprio nel suo rifiuto di definire nettamente la questione, e nell’astenersi dal proporre una soluzione al problema della comunione ai divorziati risposati. In questo senso, la discussa ambiguità di Amoris Laetitia è una chiara opzione in favore dell’opinabilità, della non definitività, della relatività della dottrina, per non dire addirittura del relativismo dottrinale. In altre parole: Amoris Laetitia è tutt’altro che ambigua nel dire che la questione della comunione ai divorziati risposati non si risolve in base a considerazioni dottrinali; anzi, che tali considerazioni sono, in sostanza, una specie di esercizio retorico-intellettuale, con il quale o senza il quale (per usare un’espressione goliardica, ordinariamente riferita alla filosofia) si resta tale e quale.
L’Esortazione, dunque, cerca di rendere in qualche modo mainstream nella Chiesa l’idea che la dottrina è inadeguata – per difetto – ad orientare efficacemente la prassi, e, così, tende ad “ufficializzare” la subordinazione della prima alla seconda: facendo propria quella “dislocazione della Divina Monotriade” di cui parlò Romano Amerio, o, almeno, sforzandosi di vanificare gli effetti salutari del magistero di Benedetto XVI, tutto focalizzato sulla centralità della verità.
In quest’ottica, il capitolo VIII di Amoris Laetitia è inequivocabilmente dirompente, ben al di là della questione dei divorziati risposati, che, anzi, si appalesa sostanzialmente strumentale, e funzionale ad una prospettiva decisamente più ampia.
Si può temere, quindi, che chi concentra i suoi sforzi sulle ambiguità di Amoris Laetitia, e vuole farvi leva per riaffermare la buona dottrina e la buona disciplina sacramentali, si comporti un po’ come gli strateghi francesi che progettarono la linea Maginot: un imponente e di per sé efficacissimo sistema difensivo, che si dimostrò del tutto inutile perché i tedeschi scelsero una tecnica ed una strategia di attacco radicalmente diversa da quella contro cui la Maginot era stata pensata.
Ecco perché la debolezza di quanti oggi, nella Chiesa, brandiscono “contro” Amoris Laetitia l’arma della disambiguazione alla luce della dottrina tradizionale sembra analoga a quella dei francesi che costruirono la linea Maginot: credere che il nemico attacchi secondo regole convenzionali; anzi, rispettando alcune regole fondamentali (per esempio, quanto alla II Guerra Mondiale, rispettando la neutralità del Belgio e, soprattutto, dell'Olanda; nella Chiesa attuale, rispettando il principio di non contraddizione e l’unità ed omogeneità del magistero).
Così facendo, però, si potrebbe agevolare, anziché contrastare, il disegno degli avversari: insistendo sull’ambiguità di Amoris Laetitia – che essi vogliono sfruttare non per far passare un cambiamento dottrinale (tentativo che si rivelerebbe fallimentare: lo ha spiegato benissimo, in tre parole, mons. Forte poche settimane fa), ma per giungere all’irrilevanza della pur immutata dottrina – si rischia proprio di potenziare l’effetto distruttivo dell’arma da cui ci si vorrebbe difendere.
Al contrario, bisogna dire con chiarezza che, in ogni caso, quantomeno il cap. VIII di Amoris Laetitia non è inquadrabile in una “griglia tradizionale”, come già è stato sostenuto; che non vi è spazio per nessuna “apertura”; che, dunque, il cap. VIII non è ambiguo, ma è chiaramente sbagliato; che gli si deve resistere, spiegando – è su questo piano che l’approccio dottrinale può risultare vincente – che tale resistenza non è contro la fede e non contraddice il vero rispetto dovuto all’autorità papale. Si deve dire apertis verbis che Amoris Laetitia – perlomeno nel cap. VIII – è un inequivoco tentativo di relativizzare la dottrina, e che l’accusa di usarla (la dottrina) per scagliare pietre sui fedeli “feriti” è falsa.
Ogni altra strada lascia indifesi i fedeli, specialmente quelli culturalmente o spiritualmente più deboli, come i francesi lo furono rispetto all’aggiramento della linea Maginot. Dopo il quale sappiamo che è avvenuto: l’occupazione di Parigi e la costituzione della repubblica di Vichy. Se ciò accadrà, siamo certi che la Provvidenza non farà mancare alla Chiesa un generale de Gaulle: ma non sarebbe bene cercare, comunque, di evitare l’aggiramento?