Oliviero Toscani, 82 anni, ha affidato a un’intervista con il Corriere della Sera l’annuncio della sua malattia. “Amiloidosi”: «In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo», ha spiegato il fotografo, «e si muore. Non c’è cura». Ciò che umanamente si può ancora fare, è una cura sperimentale alla quale si è sottoposto come «cavia» e due sessioni di fisioterapia al giorno. Nient’altro, purtroppo.
«Fino al giorno prima di essere così», ha detto dopo aver perso 40 chili in un anno, «lavoravo come se avessi 30 anni. Poi una mattina mi sono svegliato e all’improvviso ne avevo 80», così racconta la repentina presa di coscienza del suo stato di salute. Mentre l’anno scorso si trovava in Val d’Orcia si è svegliato con le gambe gonfie che abbinate alla fatica nel camminare hanno fatto scattare il campanello d’allarme. Poi tramite il cugino di un amico, cardiologo al Giovanni XXIII di Bergamo, è arrivata la diagnosi.
Nella lunga intervista ripercorre i momenti più belli della sua vita, il «senso di libertà» che non gli ha negato nemmeno un corpo «come incatenato», il rimpianto delle «cose che non ho fatto». I nomi dei sedici nipoti, i tre figli, i genitori e le sorelle. Insomma, una vita davvero fortunata, così la definisce. Non si fa troppe domande su quello che lo attenderà una volta morto, «sono a posto col padreterno» e non pensa alla «fantasia» di poter rincontrare sua madre Dolores.
L’intervista arriva poi all’inevitabile argomento della morte, «vivere vuol dire anche morire, eppure nessuno parla della morte», incalza Toscani, «si vive come imbrogliandosi, perdendo tempo». Così, quasi come fosse un naturale corollario, si giunge a parlare dell’eutanasia: «Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia», rivela Toscani. In tempi non sospetti, una decina di anni fa, si era lui stesso fatto promotore della “battaglia” per l’eutanasia legale. Nel 2013 Oliviero Toscani aveva infatti firmato la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, di cui Cappato è tesoriere.
«Gliel’ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo», così gli avrebbe risposto l’amico Cappato. In effetti, che cosa si dovrebbe mai dire a un amico in fin di vita che vuole darsi la morte? «Non ho paura», prosegue Toscani, «basta che non faccia male». Perché la morte può anche essere presa con “laica” ironia, vista come un ultimo momento, un ultimo metro, ma nessuno di noi è pronto a soffrire. Se poi non si alza lo sguardo verso l’unico Dio che ha sofferto nella sua stessa carne, è quasi impossibile. Ciò che è possibile – ed anche auspicabile – è invece estendere la risposta «ma sei scemo?» a tutti i malati che invocano la morte. Referendum, battaglie legali, posizioni politiche diverse, per poi ritrovarsi vicini lì, in quell’anelito di vita che è in tutti noi. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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