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21.12.2024

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Alfie ci riguarda tutti
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23 Aprile 2018

Alfie ci riguarda tutti

Credo che molti di noi abbiano fatto praticamente tutto quello che era in loro potere di fare per Alfie. Qualcuno, come Benedetta Frigerio, ha fatto anche oltre il possibile (credo che non ami diffondere i particolari, però di certo si può dire che non si è limitata a fare la giornalista, a coprire l’evento). Oltre a chi come lei ha preso aerei e perso pasti c’è chi ha scritto, tradotto, raccolto firme, pregato, digiunato, vegliato, organizzato cose, chi si è occupato della difesa legale, chi della copertura giornalistica. In questo esatto momento non sappiamo come finirà, la spina potrebbe essere staccata già lunedì ma ancora si continua a provarle tutte, in tutte le direzioni, sperando in una via di uscita che ora sembra impossibile, o magari in un miracolo.

Tra di noi continuiamo a parlarci addosso, a chiederci come sia possibile che possa succedere questo, che cioè un bambino venga sottratto alle decisioni e alla tutela dei suoi genitori non perché abbiano commesso qualche gravissima colpa o perché siano stati inadempienti nei suoi confronti, ma al contrario perché non si arrendono a che l’assistenza vitale sia sospesa. Continuiamo a dircelo, a scriverlo sui giornali, a parlarne in tv, ma ci sfuggono alcuni elementi per giudicare. Come mi spiegava un amico che vive lì, per gli inglesi il National Health Service è una specie di divinità, un’autorità assoluta, qualcosa a cui tengono moltissimo, e di cui l’Inghilterra va giustamente fiera, perché il livello di competenza è molto alto, tra i migliori al mondo. Però per il paese il rispetto per il NHS va oltre. È praticamente diventata l’unica autorità intoccabile, da quando la gente ha completamente perso la fede, e la monarchia ha subito durissimi colpi di immagine. Insomma, un dio bisognava pur trovarlo. (Come dice Chesterton, quando si smette di credere in Dio, si crede a tutto).

Fatto sta che i medici inglesi hanno l’autorità suprema sui pazienti, tanto che, per dare un’idea, le analisi che ti prescrive uno specialista, le riceve e le conserva lui, non tu. Vanno nella tua cartella, che è di proprietà dell’NHS, non tua. Tu non le porti a casa. Tutto questo è fatto in funzione del miglior risultato per il paziente, non certo per ordire complotti ai suoi danni, ma per curarlo nel modo più razionale e preciso possibile. Il sistema però per reggersi presume una fiducia totale e cieca della popolazione nei suoi medici.

Ora, ammettere che una decisione dei medici dell’Alder Hey su un piccolo degente possa essere così grossolanamente sbagliata, sarebbe un danno di immagine memorabile. Un epic fail. Ammettere che c’è un altro ospedale che possa, non dico guarire, ma offrire un tempo di vita dignitoso a questo bambino, e che addirittura questo ospedale sia italiano, è qualcosa di inammissibile. È inutile che noi insistiamo con ragionamenti sul valore della vita e sulla relazione del bambino coi genitori e via dicendo. L’NHS deve essere infallibile, o il sistema perde il suo fondamento. Non può succedere niente che contraddica l’assunto: per Alfie è meglio morire prima possibile, Alfie dovrà essere sacrificato su questo altare, a meno di un miracolo.

Eppure. Eppure i miracoli avvengono, e noi continuiamo a chiedere. Perché quando avvengono, è sempre così, nella debolezza di tutti i mezzi umani. Quindi noi continuiamo a chiedere.Intanto un primo miracolo è successo. Di nuovo un popolo si è alzato in piedi per dire che non è giusto uccidere un bambino arrogandosi il diritto di dire che la sua vita è inutile. Ma una cosa ancora più grande ancora è che molti di noi hanno detto “mi riguarda”. La tenacia di due ventenni e la durata della vicenda ci ha interpellati tutti, e non abbiamo potuto fare finta di non vedere, girare la testa dall’altra parte come quando succede una delle tante ingiustizie che ci investono dai mezzi di comunicazione ogni giorno. Non possiamo sentirci responsabili di tutto, non si regge a questa tensione continua. Però Alfie sta facendo il miracolo di interrogarci tutti, lui tondo, cicciottello, pettinato, con le sue tutine colorate, zitto. Anche il tassista ieri cercava su Tempi e la Bussola aggiornamenti sul bambino di Liverpool, e miracolosamente nominava la città non per parlare della Champions ma di una cosa più importante. Perché quel bambino, per il solo fatto di esserci, ci fa una domanda. Ti riguarda? Ti riguarda il dolore di un bambino che non è tuo, di una coppia di ragazzi che non conosci. Ti riguarda la domanda sulla vita e sulla morte di qualcun altro, ti riguarda perché è come un’icona di tutti gli indifesi del mondo: i poveri, gli stranieri, i disabili, i martiri della fede, i bambini abortiti, chi scappa dalla guerra. Cosa c’è di più indifeso di un bambino di pochi mesi che respira grazie a un tubo che vogliono togliergli?

E allora in questi giorni fai quello che puoi per lui, e per il resto, fai tutto il resto con una nuova serietà, sapendo che non ti spetta niente di quello che hai, che è tutto regalato, se a qualcun altro invece è tolto. Guardi i tuoi figli con uno sguardo più grato – che gioia che tu ci sei! – accarezzi la povertà di quella persona che di solito ti fa arrabbiare con una diversa morbidezza, stai al tuo posto con tutta la docilità e la gratitudine che puoi, offri quel peso che porti sperando che possa essere come un’arma per il nostro piccolo sgangherato esercito, perché c’è qualcuno che misteriosamente trasforma i sacrifici degli sconosciuti in frecce all’arco della Provvidenza. E chissà che il fioretto di un bambino non faccia più degli interventi diplomatici. Minimo, ci sta facendo intuire cosa vuol dire avere un cuore di carne. (Costanza Miriano blog)

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