Ieri, 9 maggio 2024, nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano si è aperta la fase testimoniale della causa di beatificazione del servo di Dio monsignor Luigi Giussani. L’evento, alla presenza di monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha visto la presenza di molti giovani e tanti che sul carisma di don Giussani hanno giocato la loro vita. Tra loro il presidente della Fraternità di Cl, Davide Prosperi, Chiara Minelli, ordinaria di Diritto ecclesiastico e canonico all’Università Cattolica di Brescia, postulatrice della causa di beatificazione, e un po’ più in là, don Julián Carrón, il sacerdote spagnolo che è stato primo successore di Giussani alla guida del Movimento.
«Come è affascinante il carisma nella Chiesa», ha ricordato monsignor Delpini. «Le cose che si sono sempre sentite dire improvvisamente divengono una rivelazione. E le persone sentono come quelle parole, quell’atteggiamento, quel modo di porsi svegli dentro ciascuno una nuova vita, una nuova semplicità, una nuova identificazione. Tutti coloro che hanno incontrato il carisma di Don Luigi devono rendere grazie proprio per questo: perché la Chiesa nella sua verità antica ha avuto questo nuovo splendore. Io voglio inoltre augurare a tutti coloro che hanno incontrato il carisma, di conservare questa gratitudine e questa gioia, così da formare un cuor solo e una anima sola».
Chi era don Giussani? Le parole che meglio lo spiegano in poche righe le pronunciò l’allora cardinale Joseph Ratzinger al funerale del prete brianzolo nel 2005: «don Giussani, ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il Cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il Cristianesimo è un incontro; una storia d’amore; è un avvenimento. Questo innamoramento in Cristo, questa storia di amore che è tutta la sua vita era tuttavia lontana da ogni entusiasmo leggero, da ogni romanticismo vago».
«Siamo commossi dalla presenza oggi di tante persone segnate dall’incontro con don Giussani», ha ricordato ieri Davide Prosperi a margine della cerimonia, «dai primi che l’hanno seguito ai tanti giovani che non l’hanno mai conosciuto di persona. Mi è ancora più chiaro che siamo chiamati a seguire Giussani proprio nella tensione costante alla santità nella nostra vita quotidiana. Don Giussani ci ha infatti insegnato che il santo non è un superuomo ma un uomo vero, che «aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore, e di cui è costituito il suo destino». Domandiamo a Dio la grazia di questa santità, di lasciare cioè che la nostra umanità sia totalmente investita da una fede realmente e appassionatamente vissuta”.
Ciò che del servo di Dio don Luigi Giussani dobbiamo tutti ricordare come semplici battezzati, anche se non facciamo parte del suo Movimento, è ciò che lui stesso dichiarava sul pericolo del divorzio tra fede e cultura in una intervista rilasciata a Luigi Accattoli sul Corsera del 29 settembre 1984. «Per abolire il divorzio tra fede e cultura», diceva Giussani, «è necessario che la realtà del popolo cristiano, e quindi la Chiesa, sia energicamente presente nella problematica e nel dibattito che angustia la vita del mondo di oggi. […] Non sarebbe una fede vissuta quella che non dicesse qualcosa su tutta la vita dell’uomo. Sarebbe una grave iattura favorire una riduzione della vita della Chiesa a culto e rito, con qualche spinta a interessarsi degli emarginati».
E alla domanda «se dovesse formulare una preghiera in dieci parole, le ultime prima che la nave affondi, quali sceglierebbe?», seguiva una semplice risposta: «Che si manifesti Cristo, il più possibile, nella vita del mondo».
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