Si è svolto lunedì 24 febbraio, allo Staples Center di Los Angeles, il Memorial del cestista Kobe Bryant e della sua secondogenita appena tredicenne, a sua volta promessa del basket femminile, Gianna Maria.
La serata, svoltasi a circa un mese dallo schianto dello Sikorsky S-76B su cui viaggiavano il campione e la figlia con altre sette persone e in una data che richiama i numeri di maglia con cui giocavano Kobe e Gigi (24 e 2), ha visto la partecipazione della moglie Vanessa, dei più grandi nomi della pallacanestro, da Michael Jordan a Shaquille O’Neal, e di tanti altri parenti, amici e tifosi. Grandi nomi che hanno preso la parola per rivolgere un ultimo pensiero pubblico a Kobe, così come grandi sono state le emozioni che hanno scosso lo Staples Center.
Su tutti, com’è naturale, ha fatto vibrare tanti cuori il discorso di 22 minuti tenuto da Vanessa Bryant (qui l’intero discorso) che, con grande dolore ma nel contempo con una encomiabile compostezza, ha ricordato il marito e la figlia. E lo ha fatto parlando della loro quotidianità di famiglia normale, con i suoi punti di forza e le sue fatiche, e lodando le qualità del marito, che metteva al primo posto la famiglia e che era un padre presente per tutte e quattro le figlie. E, in tutto questo, Vanessa non ha mancato di fare riferimento a Dio, dando così prova della fede che condivideva con Kobe e mettendo alla luce una prospettiva capace di dare senso e compimento a tutto quello che ci accade, anche alla sofferenza.
Questo il passaggio centrale del discorso di Vanessa: «<Kobe> era un uomo che pensava tanto e scriveva sempre bellissime lettere e cartoline d’amore, e Gigi aveva la sua meravigliosa capacità di esprimere i suoi sentimenti e farti sentire il suo amore attraverso le parole. Era pensierosa come lui. Erano così facili da amare. Tutti gravitavano naturalmente verso di loro. Erano divertenti, felici, sciocchi e adoravano la vita. Erano così pieni di gioia e avventura. Dio sapeva che non potevano essere su questa Terra l’uno senza l’altro. E così se li è portati in paradiso assieme. Baby, prenditi cura della nostra Gigi. Io ho qui con me Nati, BiBi e Coco e ti posso dire siamo ancora la squadra migliore». E ha quindi concluso: «Vi amiamo e ci mancate, Boo-Boo e Gigi. Possiate entrambi riposare in pace e divertirvi in paradiso fino a quando ci incontreremo di nuovo, un giorno. Vi amiamo entrambi e ci mancherete sempre e per sempre, mamma».
Frasi pesanti, ma che nel contempo risultano essere leggere perché rivolte al Cielo. Rivolte a quel Dio che, anche la domenica mattina prima di morire, Kobe e Gigi avevano accolto accostandosi alla Santa Eucarestia, durante la Santa Messa delle 7 del mattino celebrata alla chiesa di Nostra Signora Regina degli Angeli a Newport Beach.
Un aspetto della vita del campione, questo della fede, spesso poco enfatizzato ma che era noto ed evidente anche nel suo atteggiamento umile, nella sua solarità, nel suo essere cortese con tutti, nel suo non essere attaccato al denaro ma nello sfruttarlo per aiutare il prossimo… ma soprattutto nel suo credere fermamente al valore del sacramento del matrimonio (nonostante le difficoltà del passato) e nel mostrarsi aperto alla vita. Perché Kobe – e con lui tutta la sua famiglia – aveva chiaro che, per fare canestro nella vita, per mettere a segno un tiro da tre punti, aveva bisogno di affidarsi a Qualcuno di più grande.
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