Il G7 a presidenza italiana è il numero 50 e viene dopo l’edizione tenutasi lo scorso anno in Giappone, a Hiroshima, dal 19 al 21 maggio. In quell’occasione, come sempre avviene, era stato elaborato e approvato un documento finale in cui era presente un paragrafo, precisamente il numero 43, dedicato alle istanze che ormai sappiamo sempre ai primi punti dell’agenda internazionale in termini di diritti (distorti): i due temi contenuti riguardavano la tutela dei diritti Lgbtqi e, immancabile secondo termine di questa strana endiadi, la tutela dell’aborto, o meglio «l’accesso all’aborto legale e sicuro».
Complice la cifra tonda dell’edizione attuale e la smania di dare riconoscimento e solennità a istanze tipicamente progressiste, in questo G7 in salsa pugliese, i soliti noti puntano a dare nuova enfasi a questo impegno preso durante il summit nipponico. Le firme in calce a questi desiderata sono quelle di Usa, Germania e Unione Europea, soggetto sovranazionale che partecipa a sua volta ai lavori. La richiesta di costoro sarebbe quella di ripetere in modo esplicito la formulazione relativa all’aborto. A quando un inno alla sublime beltà di poter sopprimere i figli in utero? (scusate, mi è sfuggito del sarcasmo, spero di non offrire spunti alla perversa creatività di alcuni).
Oltre ai paesi già nominati ce ne sono alcuni, fari rotti di una civiltà con tendenze suicide, che pare abbiano avanzato la richiesta di usare espressioni più alte e a dir loro ambiziose in tema di interruzione di gravidanza. Sono il Canada di Trudeau, già distintosi per applicazioni estreme in termini di promozione dell’eutanasia, e la Francia di Macron (solo sua e di pochi altri, questa Francia, a vedere l’esito delle ultime consultazioni europee), fiero di aver iscritto la “libertà” di abortire nella carta costituzionale della République. Ciò che chiedono è che si parli esplicitamente di «preservare e garantire» il diritto all’aborto. E l’Italia? A quanto si capisce da ciò che è filtrato sulla stampa, il nostro paese, guidato dalla sola leader europea ad essere uscita confermata dalle elezioni europee, ha proposto una formulazione del documento più generica, estromettendo l’uso dei termini abortisti più espliciti.
Sulla stampa italiana si vedono già i bagliori degli scontri a fuoco (metaforico) dei leader coinvolti sul tema; e non si sa bene perché, ma ogni volta che butta male sul fronte del consenso i cosiddetti “grandi della terra” si gettano a capofitto sull’aborto. La Stampa di oggi titola in modo eloquente «G7, il primo scontro è sull’aborto» e il casus belli è proprio la rimozione del termine “diritto” che era invece presente nel testo di Hiroshima. Il braccio di ferro sarebbe in pieno svolgimento e si tradurrebbe in una accesa negoziazione, se non conflitto vero e proprio, sulla presenza o meno di alcune “parolette brevi” tutt’altro che “sorrise”, quelle che sancirebbero «l’accesso all’aborto sicuro e legale e alle cure post-aborto».
La presidenza italiana non ha inserito alcun riferimento esplicito all’interruzione di gravidanza nella bozza della dichiarazione finale che dovrà essere ratificata da tutti i capi presenti al vertice. Nel frattempo da Palazzo Chigi è uscita una nota che ha l’obiettivo di smorzare i toni: «Nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza delle conclusioni del vertice G7. Ci troviamo in una fase in cui le dinamiche negoziali sono ancora in corso. Tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7».
A nessuno deve essere sfuggito il peso dell’ospite d’eccezione invitato al summit dal governo Meloni, papa Francesco. Alcune fonti sostengono che proprio la volontà di non urtare la sua sensibilità abbia animato le trattative. Come se la difesa della dignità della persona umana, dal concepimento alla morte naturale, fosse solo questione di una particolare sensibilità papale, ma tant’è. Non troppo sommessamente, la delegazione italiana ricorda ai presenti e ai media che la questione aborto non era presente tra i temi cruciali da portare al tavolo del G7.
Nondimeno per qualcuno la presidente del governo italiano si starebbe confermando nemica dei diritti civili perché non si schiera a difesa dell’aborto, ma piuttosto del nascituro e delle madri. La Repubblica di oggi ricorda della polemica innescata lo scorso anno da Justin Trudeau sulla questione: «non è il primo conflitto sui diritti che vede coinvolta Meloni: al vertice giapponese del 2023 il canadese Justin Trudeau aveva già avuto modo di polemizzare sui diritti civili con la premier sul tema dei diritti Lgbtq+».
Non stupisce allora nemmeno la reazione stizzita del campione nostrano decaduto di progressismo, il buon vecchio Zan, che ha ritenuto opportuno ricordare a Giorgia Meloni: «È il G7, non Atreju. Utilizzare la presidenza italiana del più importante forum intergovernativo per attaccare i diritti delle donne è gravissimo». Non ci hanno graziato col loro silenzio nemmeno esponenti di Più Europa, Italia Viva, 5 Stelle e Alleanza Verdi- Sinistra: esigono spiegazioni dal Parlamento. Per la vice presidente dem dell’Europarlamento, invece, questa e solo questa occasione diventa opportuna per ricordare come Meloni sia la prima donna capo di governo del nostro paese.
Naturalmente questo primato è strumentale allo sdegno che dovremmo provare nei suoi confronti perché, pur essendo donna, «starebbe attentando ai diritti delle donne e che lo faccia la prima donna premier che l’Italia abbia avuto è particolarmente penoso». In un mondo attraversato dalle peggiori guerre dell’ultimo secolo e messo a rischio da ulteriori focolai disseminati per tutto il pianeta, in un momento storico in cui la situazione demografica è diventata il problema dei problemi e la denatalità una tendenza da provare in tutti i modi a invertire, i grandi della terra (promemoria: ricordarsi di rivedere la definizione di “grandezza”) dovrebbero affaccendarsi in tutt’altre faccende, più serie e decisive per il presente e la possibilità di futuro di tutti: la pace, per esempio.
Tutto questo agitarsi intorno al (non) diritto all’aborto non ha, invece, un che di folle ossessione? Come riporta in prima pagina La Verità di oggi, la Meloni è l’unico leader, tra i 7 paesi presenti al vertice, a potersi ritenere pienamente legittimata. Tutti gli altri sono usciti indeboliti dalle più recenti consultazioni elettorali o sono da consumarsi tassativamente entro la data di scadenza ormai imminente. Fa bene dunque il governo italiano a tenere il punto; neppure la nota di palazzo Chigi può ritenersi un cedimento alle istanze abortiste. L’arrivo del Santo Padre, previsto per venerdì, secondo giorno dei lavori del summit, possa illuminare quanti sono chiamati a prendere decisioni importanti. Per quanto ci si possa sforzare di edulcorare le sue parole, quelle che papa Francesco ha sempre speso sull’aborto restano salatissime. E il sale, si sa, può anche bruciare, ma di solito aiuta a guarire le ferite più profonde. (Fonte foto: Ansa)
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