Si è svolta ieri, martedì 20 aprile, in forma telematica, la conferenza stampa promossa dalla fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre (Acs) per presentare la XV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo (qui una sintesi), studio che vede la luce ogni due anni.
In fase d’introduzione hanno preso la parola Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente Presidente e Direttore di Aiuto alla chiesa che soffre – Italia, che hanno introdotto al Rapporto, sia sotto il profilo metodologico, sia numerico, rimarcando come l’intento di Acs sia quello di accendere i riflettori su un tema troppo spesso ignorato dall’opinione pubblica.
Accanto a loro, è intervenuto il presidente di Acs Internazionale, il cardinale Mauro Piacenza, il quale, tra le altre cose, ha rimarcato che la libertà religiosa è un diritto proprio di tutti e ha posto l’attenzione sul ruolo che le religioni «possono disimpegnare per la pace e il progresso plenario dell’uomo e delle società», sempre nella consapevolezza che «per favorire la pace e la comprensione tra i popoli e tra tutti gli uomini nel contesto internazionale nel quale viviamo, è necessario ed urgente che si rispettino le religioni e i loro simboli, e che i credenti non siano oggetto di provocazioni che offendono la loro pratica e i loro sentimenti».
UN QUADRO IN AGGRAVAMENTO
Venendo ai numeri, la realtà che emerge dal nuovo Rapporto è in peggioramento rispetto a quanto rilevato solo alla fine del 2018.
All’epoca c’erano 38 Paesi sotto esame: oggi, invece, su un totale di 196, sono ben 62 i Paesi, ovvero il 31,6%, dove la libertà religiosa è violata.
Di questi, 26 Paesi sono catalogati come “zona rossa”, ossia dove si registrano persecuzioni estreme, per un totale a livello di popolazione che raggiunge «circa quattro miliardi di persone, ossia poco più della metà (51 per cento) della popolazione mondiale»; gli altri 36 Paesi, che radunano oltre 1 miliardo di persone, sono invece in “zona arancione”, ossia hanno registrato gravi casi di violazione della libertà religiosa.
I motivi che hanno portato all’aggravarsi della situazione sono molteplici. Ne riportiamo alcuni, tra i tanti: le reti jihadiste transnazionali si diffondono lungo l’Equatore e aspirano ad essere “califfati” transcontinentali; il “cyber-califfato”, in espansione a livello glo- bale, è divenuto ormai uno strumento consoli- dato per il reclutamento e la radicalizzazione online in Occidente; anche la pandemia da Covid-19 ha un suo peso, infatti in alcune aree le minoranze religiose incolpate della pandemia; i governi autoritari e i gruppi fondamentalisti hanno intensificato la persecuzione religiosa; le violenze sessuali usate come arma contro le minoranze religiose, come sottolineato anche da Asia Bibi nel suo intervento, riportato in sintesi di seguito; l’imporsi di una cosiddetta “persecuzione educata”; la grave situazione in Cina e in Myanmar…
In particolare, preoccupa l’Africa, dove la situazione si tra facendo particolarmente grave per via di una forte radicalizzazione di gruppi terroristici jihadisti.
E proprio su questo, nel corso della Conferenza stampa è intervenuto Mons. Laurent B. Dabiré, vescovo della stessa diocesi di Dori e presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso e del Niger, il quale ha posto in evidenza come i fenomeni terroristici abbiano appreso avvio nel 2015, per poi diventare un vero terremoto che ha scosso tutto e tutti: da fenomeni di aggressione non ben identificati, ci si è «ritrovati nella bufera, con attacchi a tutti e a tutto, con distruzione di case, scuole e tutto quello che è simbolo del vivere assieme e massacri alla popolazione civile, per sfociare in una persecuzione religiosa, anche nei confronti di musulmani che non condividevano questa impostazione». Di fatto, sottolinea Dabiré, in breve «ci siamo trovati impediti a esercitare la nostra libertà religiosa». Non sappiamo cosa succederà in futuro, ha proseguito il prelato, che tuttavia ha sottolinea come da un paio di mesi pare che la situazione sia in miglioramento e soprattutto ha rimarcato come «Dio vede e provvede» e come il male, alla fine, non prevarrà.
LE PAROLE DI ASIA BIBI
La Conferenza stampa di Acs ha visto anche l’intervento dell’attesa ospite Asia Bibi, simbolo internazionale della libertà religiosa negata: la donna pakistana, ad oggi in Canada, è stata perseguitata per via della sua fede per oltre dieci anni, fino alla liberazione definitiva del 29 gennaio 2019.
Tradotta dal Professor Shahid Mobeen, Fondatore dell’Associazione Pakistani cristiani in Italia, Asia Bibi ha messo in luce le croci che ha dovuto sopportare in seguito all’ingiusta accusa di blasfemia che le è piombata addosso: croci sia materiali, sia di carattere psicologico, e questo soprattutto per via dell’allontanamento dalle sue due figlie, peraltro la più grande delle quali portatrice di handicap, che all’epoca dell’arresto avevano rispettivamente solo 8 e 9 anni. E croci che pesano ancora oggi, nonostante la famiglia sia di nuovo unita, soprattutto rispetto alle figlie adolescenti.
Asia Bibi ha quindi fatto appello al Primo ministro del Pakistan affinché si modifichi la legge sulla blasfemia – che colpisce non solo i cristiani, ma rispetto alla loro esigua presenza nella popolazione, la percentuale di accuse è molto alta nei loro confronti – per evitare gli abusi attuali, e ancora meglio sarebbe se la si cancellasse. Posto che, ha sottolineato la donna, oltre a questa legge ce ne sono altre che discriminano i cristiani in Pakistan.
Un altro punto posto in evidenza da Asia Bibi in tutta la sua gravità è stato quindi quello della situazione delle ragazze minorenni cristiane, generalmente tra i 9 e i 14 anni, che vengono spesso rapite, abusate sessualmente e costrette al matrimonio con i rapitori, con contestuale conversione forzata all’Islam. Fatto che, purtroppo, non conosce limiti anagrafici: anche le maggiorenni (a seconda delle zone, si diventa maggiorenni tra i 14 e i 18 anni), infatti, sono spesso vittime di abusi e moltissime sono le accuse di blasfemia. Asia Bibi chiede quindi al Primo ministro: come mai se l’Islam insegna la pace e l’armonia, non si reagisce a questa violenza?
Nel concludere il suo intervento, Asia Bibi ha quindi fatto un ulteriore appello, questa volta per sollecitare l’unità delle varie realtà internazionali affinché la libertà religiosa sia rispettata. E ha ringraziato per quanto è stato fatto per lei: dagli appelli prima di Benedetto XVI e poi di papa Francesco, alle numerose preghiere che hanno fatto sì che ora sia in Canada con la sua famiglia.
Le conclusioni sono quindi state affidate a Thomas Heine-Geldern, presidente esecutivo di Acs Internazionale, che ha rimarcato l’importanza di realizzare ogni due anni un rapporto sulla situazione della libertà religiosa nel mondo: e questo per informare certo, ma soprattutto perché esso costituisce un appello all’azione rivolto a tutti. Con la speranza, che è la sua ma è quella di tutti, che nella XVI edizione le notizie riportate possano essere migliori.
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