Siamo nell’era del tutto e subito, è evidente. Il mondo dei social pullula di Instagram, Be Real – quell’App che invia un pop-up sullo smartphone e si hanno due minuti per pubblicare un foto istantanea, senza ansia però eh -, fino ad arrivare all’estremo, talvolta tragico, delle challenge. In questo contesto oggi i maturandi sono stati posti di fronte a un articolo del 2018 scritto da Marco Belpoliti su la Repubblica, dal titolo Elogio dell’Attesa nell’era di Whatsapp.
Significativo che ai diciottenni di oggi sia stata posta la questione del tempo, dell’attesa. È sempre possibile ridurre l’attesa a forza di botta e risposta su Whatsapp? Nonostante la tecnologia ci faccia «credere che sia sempre possibile farlo», l’autore afferma ci siano dati di realtà che ci dimostrano il contrario. Il tempo di una gravidanza, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, banalmente il tempo di attesa agli sportelli, tanto odiato da tutti. Eppure quel dato reale è ancora lì a dirci qualcosa, anche nell’epoca del tutto e subito, tanto che è ancora possibile farne l’elogio.
Per scovare il senso di quest’attesa forse i più romantici riporteranno la mente ai bei tempi andati degli scambi epistolari – probabilmente perfino i maturandi di oggi hanno avuto il piacere di ascoltare da un genitore o dai nonni i famosi racconti delle lettere d’amore o delle telefonate sussurrate che si interrompevano bruscamente al finire dei gettoni. Altri penseranno alla mamma o al papà X che nell’attesa dal pediatra prontamente tira fuori il tablet per intrattenere quel momento di insuperabile noia per il piccoletto a cui è stata tolta di base l’opportunità di riempire quel vuoto temporale con le sue forze – sarebbe da ricordare che se Alice non si fosse annoiata non sarebbe mai arrivata al Paese delle meraviglie. Altri invece penseranno a quando spazientiti in fila alle poste si sono pure visti superare dal prepotente di turno, e noi in Italia siamo campioni di zero tolleranza in fila a qualsiasi sportello.
Allora che cosa ci resta da elogiare? C’è ancora qualcosa, anzi, Qualcuno, che ci parla di Attesa. Una canzone di Blanco e Coez – cantanti forse cari ai maturandi di quest’anno – recita «Ho paura che tutta questa attesa non basta non copre il dolore». Esattamente. Perché sembra sia una fregatura attendere. Il mondo questo ci dice. Che cosa serve aspettare il matrimonio prima di sperimentare la mia vita sessuale? E anche se si parla tanto di “consenso”, è evidente che l’ipersessualizzazione mediatica a cui siamo sottoposti ci suggerisce che è meglio consumare tutto subito, con chi e quando vogliamo. Ergersi a bacchettoni sarebbe controproducente, ma è necessario che qualcuno affermi che è proprio il dolore a nascondersi dietro a rapporti facili o “convivenze di prova”. Il dolore di rimanere a mani vuote, di perdere noi stessi, l’appagamento o semplicemente un palliativo ai turbamenti personali. Bene, c’è quel Qualcuno, oggi è diventato quasi innominabile, che ci parla di un’Attesa che sazia, di una tensione che colma ogni desiderio. È Gesù il grande atteso della storia. E abbiamo la certezza che non sia un’attesa vuota perché è reale già oggi, nel nostro presente.
La Chiesa dedica un periodo intero all’attesa, che è l’Avvento. E se scartiamo per un attimo tutte le chicche da influencer su come riempire di cianfrusaglie il calendario per i nostri figli che attendono il Natale, possiamo scorgere qualcosa in più. «Vivere l’Avvento significa vivere l’ansia missionaria della Chiesa», cito una frase scovata in una riflessione di don Mario Cimosa, rivolta alla pastorale giovanile, che dice molto su quanto ai giovani sia ancora riservata una vocazione, una missione da scoprire, custodire e preservare in un’attesa fertile. La Chiesa ha cura della persona, corpo e anima, ed è per questo che non banalizza il tempo preparatorio al matrimonio e non sottostima l’unione sessuale. Tutto ciò viene irrimediabilmente censurato a discapito di tutti, ma in particolar modo di tanti di quei giovani che oggi stanno seduti sui banchi lacerati da ferite interiori, che risvegliano l’attenzione di alcuni solo ai titoli tragici dei giornali.
Infine, la Chiesa si preoccupa dell’incontro ultimo della vita di ognuno di noi, siamo tutti uomini che incontrano Dio a un certo punto, parafrasando l’omelia di Delpini ai funerali di Berlusconi. E si può andare verso quell’incontro con la stessa trepidazione della sposa che arriva all’altare, sparisce il dolore, la paura, perchè si è già conosciuto Chi ci attende e ci prepara con amore. «Chi si concentra solo sull’immediato, sui propri vantaggi da conseguire rapidamente e avidamente, sul “tutto e subito”, perde di vista l’agire di Dio», è stato questo il messaggio di papa Francesco pochi giorni fa. Lo facciamo nostro per augurare ai maturandi buon esame, ma andiamo oltre: che possiate scoprire il progetto d’amore più grande della vostra vita. (Fonte foto: Pexels.com)
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