Papa Francesco è entrato molte volte a gamba tesa nel dirimere alcune questioni di natura morale. Dall’ipsissima vox Pontificis, recupero delle nette espressioni che lasciano poco spazio all’interpretazione, come il lapidario paragone tra l’aborto e l’omicidio per procura: «È giusto – si interroga Sua Santità – “fare fuori” una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario». E ancora: «L’aborto non è un “male minore”. È un crimine. È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia». Non da ultimo: «Il secolo scorso tutto il mondo si è scandalizzato per quello che facevano i nazisti. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi».
Per capirne di più, m’incontro con il filosofo Luca Vettorello, esperto bioeticista, chiedendo anzitutto cosa sia tecnicamente l’aborto è perché sia sbagliato compiere quest’atto: «In bioetica, l’aborto non è più considerabile una questione “di frontiera”, su cui la scienza sta ancora indagando: anzi, dal punto di vista strettamente scientifico, ormai la biologia ha appurato ampiamente tutti i meccanismi con cui avviene la riproduzione e l’inizio della vita di un nuovo essere umano. Non ci sono più zone d’ombra o aspetti ancora da chiarire. Al giorno d’oggi, infatti, è sufficiente consultare un qualsiasi manuale, anche elementare, per sapere con precisione in che modo viene concepito un nuovo essere umano: l’unione dei due gameti, maschile e femminile, genera la cellula zigote, la quale, biologicamente parlando, è la prima cellula di un nuovo organismo, appartenente alla stessa specie dei genitori. Quindi è ormai fuor d’ogni dubbio che l’essere che viene concepito dall’unione di due esseri umani è a sua volta un essere umano. Di conseguenza, abortirlo significa uccidere un essere umano, del tutto innocente. È un omicidio, come ha ricordato chiaramente il Papa. Moralmente l’aborto è dunque ingiustificabile».
Mi intrometto: ma allora come se ne può sostenere la liceità? «Ebbene – mi viene risposto –, di solito gli abortisti usano la strategia della “confusione linguistica”: ossia, evitano di utilizzare un linguaggio chiaro e una terminologia scientifica, tentando così di mascherare la gravità dell’atto. Per esempio, parlando del nascituro, anziché usare il termine “essere umano”, che è un termine chiaro e scientificamente preciso (indica l’appartenenza tassonomica alla specie Homo Sapiens Sapiens), loro preferiscono utilizzare delle espressioni come “grumo di cellule”, “ammasso di materia”, o similari. Ovviamente “grumo di cellule” non significa nulla, non è un termine scientifico. Da questo punto di vista gli abortisti sono totalmente anti-scientifici».
Ma come spiegare che dal momento della fecondazione è già presente una persona umana? «Ecco! Un’altra parola che viene utilizzata spesso è “persona”: in sé è un termine molto bello, che ha una lunga tradizione teologica e filosofica, giuridica e letteraria, ma purtroppo non è un termine scientifico. Ricordo che la parola “persona” è nata nell’ambito teatrale dell’antica Grecia per designare le maschere degli attori, i “personaggi” appunto; in teologia, poi, è stata usata per disquisire del mistero della Trinità: le tre “persone divine”. Solo in un secondo momento, e per analogia, inizia a essere applicato anche agli uomini, assumendo così altre innumerevoli connotazioni: in filosofia, in letteratura, nonché in ambito giuridico… La sua poliedricità semantica, tuttavia, lo rende un termine ambiguo, indefinito, troppo ampio, e quindi inadatto al contesto bioetico, cha ha invece bisogno di termini univoci e scientifici. Dire che il nascituro “è una persona” o “non è una persona” crea equivocità e confusione concettuale, proprio perché “persona” può avere tanti significati diversi, ognuno può intenderla come vuole. Dunque, in realtà, non interessa che il nascituro sia o non sia considerabile una “persona”: a ben vedere, è del tutto superfluo utilizzare tale parola, perché l’aborto è un omicidio, non un “personicidio”. Ciò che interessa davvero, quindi, è soltanto che il nascituro sia un essere umano. E lo è. Per questo io propongo da anni una moratoria del termine “persona” in bioetica, utilizzando esclusivamente il termine “essere umano”: esso solo è già bastante. Una volta chiarito questo punto, basta poi leggere un qualsiasi manuale di biologia: infatti, è la scienza stessa a descrivere con precisione tutto il processo di sviluppo di un essere umano, che avviene senza soluzione di continuità dal momento della fecondazione fino alla sua fase adulta, che poi declina con la vecchiaia e si conclude con la morte. Quindi, di fatto, le discussioni attorno all’aborto si risolvono con estrema facilità attraverso un po’ di semplice chiarezza terminologica. Ed è per questo che gli abortisti, invece, adorano la confusione linguistica: la scienza non li appoggia, la biologia li smentisce, e quindi sono costretti a ricorrere a degli escamotage e a dei sotterfugi».
C’è, però, da tenere conto della spinta femminista sull’argomento. Domando se sia giusto sostenere che la donna abbia il diritto di gestire il suo corpo a discapito di quello del nascituro: «Il celebre slogan “L’utero è mio e lo gestisco io” di per sé è corretto: peccato che il bambino non sia parte dell’utero, bensì è un corpo a sé stante, è un organismo vivente a tutti gli effetti. Abortire non è come togliere le tonsille o l’appendice! Tra l’altro, io ricordo sempre che esiste un’alternativa all’aborto: se la mamma non se la sente di tenere il figlio – per mille motivazioni personali – può scegliere di darlo in adozione, avvalendosi del cosiddetto “parto nell’anonimato”, previsto dalla legge: il bambino avrà così un futuro, potrà essere accolto in una famiglia che lo desidera e che si prenderà cura di lui. Una donna non è obbligata a tenere il figlio: dunque, perché abortirlo? Perché dovrebbe volerlo uccidere a tutti i costi? Perché non scegliere, invece, il parto nell’anonimato, dandogli così comunque la possibilità di vivere?».
Davanti agli orrori reiterati e a pratiche immorali ci si può domandare – con i termini utilizzati dal cardinal Bagnasco – se l’uomo moderno voglia essere perdonato «oppure cerca solo di essere discolpato». Un’altra ideologia è quella gender, ma le parole uscite ex sancti Patris corde stigmatizzano tale teoria, definita «sbaglio della mente umana, che crea tanta confusione». Una «brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale». Fermo – dichiara ancora il Pontefice – è «il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio!». Desidero una valutazione di questa presa di posizione: «Sono d’accordo, naturalmente. Anche le teorie gender sono alimentate in larga parte da una confusione linguistica, volutamente ricercata per generare confusione concettuale. E, anche in questo caso, la biologia ci viene in aiuto, con la sua chiarezza e con la sua linearità. Ciò che la biologia afferma è incontestabile: il sesso è un dato di fatto oggettivo, ognuno è o maschio o femmina – tertium non datur – e lo è fin dentro il suo DNA, in ogni singola cellula del suo corpo. Il concetto di “genere” – con i vari discorsi costruiti sopra – è soltanto una sovra-struttura, che però non sussiste senza fondamenta biologiche. Da questo punto di vista, c’è una cosa che ho sempre trovato curiosa: Judith Butler, la principale ideatrice della teoria del gender, quando ha provato a confrontarsi con gli aspetti biologici del sesso, ha sbagliato persino nel citare gli studi scientifici! Invito tutti a leggere, ad esempio, Gender Trouble, uno dei suoi libri più emblematici e famosi: ebbene, per sostenere le sue tesi circa la “fluidità” dei generi e circa la “non-esistenza del sesso biologico”, lei afferma che la scienza non sia mai riuscita a trovare un gene specifico che renda biologicamente maschi. Purtroppo per lei, la citazione è errata: sono stati fatti moltissimi studi e ricerche, che hanno dimostrato oltre ogni dubbio l’esistenza di un gene che determina il sesso maschile. Si chiama “gene SRY”, nel cromosoma Y, la sua scoperta risale addirittura agli anni ’90 ed è quindi ormai un dato scientificamente assodato. Il fatto che Judith Butler neghi un’evidenza scientifica a lei “scomoda” è indicativo di un errore commesso in malafede, con dolo e con la volontà di disinformazione a scopo ideologico».
La manipolazione può raggiungere livelli impensabili, come a riguardo dell’utero in affitto, dove il pensiero del Santo Padre è – giustamente – ancora molto duro: «Considero spregevole la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che rappresenta una grave violazione della dignità della donna e del bambino, basata sullo sfruttamento di situazioni di necessità materiale della madre». Legato a tutto questo, nasce spesso l’obiezione secondo cui per intransigenza non si terrebbe conto dei soggetti coinvolti: «Per rispondere, farò mie le parole di Réginald Garrigou-Lagrange: “La Chiesa è intransigente sui principi perché crede, ma è tollerante nella pratica perché ama; i nemici della Chiesa sono tolleranti nei principi perché non credono, ma intransigenti nella pratica perché non amano”. Tutti pecchiamo, e l’intransigenza non serve a nulla: il mare della vita può essere mosso e travagliato, gli scogli sono all’ordine del giorno, nessuno può dirsi immune, ma la chiarezza concettuale è come una stella polare… se si perde quella, non si sa più nemmeno verso dove si sta viaggiando».
Prima di congedarmi, mi torna alla mente un passo di Eretici di G.K. Chesterton: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Saluto grato il professor Luca Vettorello, il quale ha pure il merito in campo metafisico di aver offerto una nuova e interessante interpretazione dell’argomentum del Proslogion di Anselmo da Aosta. A bruciapelo lo invito a lanciare un messaggio di speranza: «Lottare, ognuno come può. Lottare non contro persone o “nemici”, che implicherebbe intransigenza, appunto, bensì lottare contro la superficialità, contro la confusione concettuale, contro le falsità e gli errori diffusi in malafede. È una lotta che ciascuno è chiamato a fare innanzitutto dentro di sé: implica disponibilità all’ascolto, al confronto, al dialogo, allo studio, all’approfondimento; implica anche allenare il proprio spirito critico. Non è facile. Tra l’altro, finora, da bioeticista non ho mai parlato di fede né di Dio, perché la bioetica non si addentra in quegli ambiti: ma, da teologo, suggerisco anche un po’ di preghiera… al di là dei nostri sforzi, infatti, la chiarezza arriva anche dall’Alto!».
(Foto screen shot canale Youtube Rosmini institute)
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