La notizia, rimbalzata in queste ore dai quotidiani locali fino ai media nazionali, è drammatica ed è quella di una giovane donna nigeriana, ospite di una casa-famiglia con lo status di rifugiata, che domenica pomeriggio si è presentata al pronto soccorso di Foligno accusando forti dolori all’addome senza però comunicare, complice forse la lingua straniera, la ragione della sua condizione, ossia un aborto. Per la precisione, un aborto volontario che la donna si era procurata assumendo un mix di farmaci. Anche per questo, riferisce La Nazione dell’Umbria, ora la giovane risulta formalmente indagata dalla procura di Spoleto per essersi indotta illegalmente un aborto alla 28esima settimana, circa, di gestazione.
In particolare, quel ora che preme più agli inquirenti è comprendere sono due aspetti. Il primo, se qualcuno abbia indotto – e se qualcuno lo ha fatto, di chi si tratti – la donna ad abortire; il secondo, in che modo ella sia riuscita a procacciarsi i medicinali che le hanno cagionato l’aborto clandestino in conseguenza del quale, come si diceva, si è poi reso necessario il ricovero di domenica. Per far luce su questi passaggi, il pubblico ministero Michela Petrini ha già nominato il professor Mauro Bacci al fine, appunto, di eseguire l’autopsia sul feto che dai primissimi accertamenti, come si diceva, pare proprio sia morto in seguito a un letale cocktail farmacologico.
Ora, sulla vicenda – che arriva a pochi mesi da quella, parimenti drammatica, della mamma di Terni che ha abbandonato il neonato appena partorito in una busta del supermercato, lasciandolo morire, e a poche settimane dal sequestro, nel Perugino, di farmaci per indurre l’aborto trovati indagando su una migrante morta forse a causa di un’overdose in un albergo di Corciano – al momento non si può aggiungere altro. Tuttavia, c’è un però. Un però che i grandi media ovviamente non considereranno, anche se è fondamentale per inquadrare fino in fondo i contorni di questa storia. Stiamo parlando della permanenza, in Italia, dell’aborto clandestino.
Un fenomeno proprio per contrastare il quale – lo si ricorderà – nel 1978 si è introdotto nel nostro ordinamento l’aborto legale. Ebbene, i fatti di Foligno, insieme a molti altri precedenti, sono lì a raccontarci una verità molto scomoda, ma ormai impossibile da ignorare: la verità di una Legge 194 osannata dalla cultura dominante, ma tragicamente fallimentare nel suo obbiettivo di estinguere le soppressioni prenatali effettuate in clandestinità. Del resto, basta un’occhiata anche fugace alle 129 pagine dell’ultima relazione ministeriale sull’applicazione della 194 per rendersi conto di quanto l’aborto clandestino sia una realtà tutt’ora diffusa.
«Il numero di aborti clandestini per le donne italiane», sottolinea infatti il report ufficiale del Ministero, «è stimato compreso nell’intervallo tra 12.000 e 15.000. Per la prima volta si è effettuata una stima anche per le donne straniere che è risultata compresa tra 3.000 e 5.000 aborti clandestini». Se la matematica non un è un’opinione, significa che nel nostro Paese gli aborti clandestini oscillano, in totale, tra i 15.000 e i 20.000 all’anno. Il che dire oltre 40 al giorno, come minimo. E, soprattutto, vuol dire che episodi di cronaca come quello poc’anzi esposto rappresentano, in fondo, solo la punta di un iceberg che per comodità o per ignavia si preferisce spesso non vedere.
Per quale motivo? Come mai la politica, le istituzioni e gli stessi media – solitamente tempestivi, specie ultimamente, quando si tratta di denunciare violenze vere e presunte contro le donne – non si soffermano mai sulla piaga, attualissima, dell’aborto clandestino, tenendosene bene alla larga? Forse perché comporterebbe l’ammissione che quella dell’aborto legale come formidabile e definitivo antidoto a quello clandestino è una colossale fake news ai danni, anzitutto, dei bimbi non ancora nati? E’ un dubbio senz’altro triste, ma che viene. Eccome.
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