Di fronte alle urne che si aprono oggi dalle 15 alle 23 e poi domani dalle 7 alle 23 ci saranno anche i cattolici europei. Dobbiamo votare per rinnovare il parlamento di Bruxelles, eredità del sogno di un’Europa unita nato dopo la Seconda guerra mondiale sulla spinta di tre padri fondatori, De Gasperi, Schuman e Adenauer, che in comune avevano proprio l’essere cristiani.
Molta acqua è passata sotto i fatidici ponti e quel sogno è diventato un incubo. L’Europa è malata, scristianizzata, priva di un’anima. Molto burocratizzata, onnivora nel rapporto con le sovranità nazionali, distante dai cittadini. Eppure in queste urne ci sono in ballo concretissime cose, tipo il futuro della nostra industria, dell’agricoltura, della pace e della guerra, la sanità, le nostre auto e le nostre case. Non è affatto detto che il nostro voto conti, visto che la macchina tecnocratica europea sembra avere il pilota automatico inserito alla faccia dei popoli sovrani, ma è sempre meglio andare a votare che stare a casa.
Per l’elettore cattolico l’offerta politica è piuttosto scarsa, a meno che non si decida che il voto si esercita innanzitutto per il ministero del tesoro in comune o per il green new deal. La difesa integrale di vita, famiglia e libertà educativa, sono ormai questioni non rilevanti e marginali, così come la libertà religiosa, di fatto intesa come semplice giustapposizione tra diverse confessioni (alla faccia delle radici cristiane d’Europa). La sussidiarietà poi è una parola incompresa o abusata, ma poco realizzata. Pace e solidarietà sono valori spesso distorti dietro copiosi interessi di parte.
In questo panorama all’elettore che crede in questi principi non resta che una possibilità: andare a cercare singoli candidati che, all’interno di partiti almeno non pregiudizialmente contrari a questi valori, possano difenderli e riaprire spazi di buon senso. «“Lo Spirito soffia dove vuole” (Gv 3, 8). Ma la volontà dello Spirito non è arbitrio», diceva Benedetto XVI in un’omelia per la Pentecoste. «È la volontà della verità e del bene. Perciò non soffia da qualunque parte, girando una volta di qua e una volta di là; il suo soffio non ci disperde ma ci raduna, perché la verità unisce e l’amore unisce».
È tempo di rimettersi all’ascolto di questo Spirito e del suo vento, non di quello che tirava a Ventotene nel 1941 e che è stato recentemente evocato sul quotidiano Repubblica dal vicepresidente dei vescovi italiani mons. Francesco Savino. «Mi auguro», ha sottolineato, «che l’Europa torni ad essere coerente con lo spirito di Ventotene».
Sull’isola dell’arcipelago pontino, che negli anni Quaranta era una colonia destinata al confino degli avversari politici del regime, Altiero Spinelli incontra Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni e con loro dà vita al primo Manifesto per un’Europa unita. Un documento che soprattutto negli ambienti politici e culturali progressisti si vorrebbe come atto fondativo dell’Ue, ma che in realtà appare spesso ideologico e dirigista, tanto che vi si teorizza che i popoli devono essere in qualche modo eterodiretti dall’alto. E la Chiesa è vista come «naturale alleata di tutti i regimi reazionari». Le radici d’Europa stanno altrove e monsignor Savino, ci permettiamo di dire, avrebbe solo l’imbarazzo della scelta: Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), per fermarsi ai patroni.
A Ventotene forse tirava il vento, ma non era lo Spirito.
(Foto Imagoeconomica)
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