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A 50 anni dalla legge sul divorzio non si sposa più nessuno e ci si separa con amore
NEWS 2 Dicembre 2020    di Giulia Tanel

A 50 anni dalla legge sul divorzio non si sposa più nessuno e ci si separa con amore

Nella giornata di ieri, 1 dicembre, ha compiuto 50 anni la legge n. 898 del 1970, dal titolo: “Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”, nota anche come “legge Fortuna-Baslini”. Pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 3 dicembre ed entrata in vigore il 18 dicembre dello stesso anno, il 12 maggio del 1974 fu resa oggetto di un referendum abrogativo promosso dal fronte antidivorzista, sostenuto apertamente dai vescovi italiani: al voto parteciparono l’87,7% degli aventi diritto, dei quali il 59,3% votarono «No» e il 40,7% «Sì», andando così a confermare la legge in vigore. Il cambio di mentalità conseguente all’introduzione di una legge aveva già dunque cominciato a lavorare e ha continuato a farlo negli anni a venire, anche in virtù di altri cambiamenti importanti in tale ambito, su tutti l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve” nel 2015 (legge n. 55).

Ad ogni modo, a distanza di cinque decenni è importante provare a fare un bilancio.

UNO SGUARDO AI NUMERI

Sul piano prettamente statistico, il quadro è molto chiaro: l’instabilità matrimoniale, in Italia come peraltro in quasi tutto il resto del mondo, è molto elevata. «I divorzi», riporta TrueNumbers, «nel primo anno di applicazione della legge, il 1971, sono stati 17.134 e sono raddoppiati l’anno dopo (31.717). Il dato esplode alla fine degli anni ‘80: nel 1991 i divorzi sono 27.350, nel 2001 arrivano a 40.051, nel 2011 a 53.806. Secondo l’Istat, tra il 1991 e il 2018 c’è stata una crescita netta: i divorziati erano 375.569 ma, dopo 25 anni, sono lievitati fino a quota 1,6 milioni».

E se alcuni dati sembrano rimandare che in Italia si ha un tasso di divorzio di poco superiore a 1,5 contro una media Ue dell’1,9, questo non significa che nel Bel Paese il vincolo matrimoniale sia meno soggetto a rottura, anzi è esattamente l’opposto: in Italia si divorzia di meno semplicemente perché… non ci sono più matrimoni da sciogliere! Semplicemente, siamo arrivati al punto in cui la gente non si sposa più, preferendo la fluidità della convivenza. «Infatti», prosegue ancora TrueNumbers, «se risultiamo tra i Paesi con meno divorzi per abitante, siamo tra i primi cinque nella UE per divorzi per matrimonio, ben 47,9».

UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISGREGATA

La traduzione di questi numeri sulla vita delle persone è un panorama di solitudine e confusione. Da un lato abbiamo tante persone divorziate di mezza età che o si sono rassegnati a una vita sola, oppure si sono impegnate in un’altra relazione, dalla quale sono magari nati altri figli. Dall’altra abbiamo una folta schiera di giovani “in età da matrimonio”, ossia i nati tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, che sono rimasti “scottati” dalla fine del matrimonio dei loro genitori e che quindi, per loro, scelgono un’altra strada, rifuggendo un legame duraturo.

Un discorso ancora a parte meriterebbero poi i bambini di oggi che, in età sempre più tenera, si trovano a fare i conti con il venir meno della coppia affettiva dei genitori e il sempre più frequente ingresso di figure altre (nuovi compagni/e, matrigne o patrigni, “fratelli” acquisiti, etc.).

COSA CI ASPETTA?

Arrivati a questo punto, a cinquant’anni dai proclami altisonanti «L’Italia è un Paese moderno» o «Ha vinto la libertà», che cosa può riservarci il futuro? Quella che pareva essere una “conquista”, si è rivelata essere una legge contro l’uomo, a giudicare dal tasso di sofferenza profonda e diffusa che ha generato (per quanto sia, volutamente?, poco riconosciuta).

Nel tentativo di fare un ragionamento in tal senso appare importante evitare gli eccessi: se da un lato va evitata la vena nostalgica, dall’altra non va estremizzata la constatazione per cui «la società è cambiata», nel tentativo parossistico di mantenersi aperta ogni qualsivoglia possibilità di “progresso”. Il punto fondamentale pare invece essere quello di tornare a guardare, al di là delle ideologie e dei colori partitici, ai bisogni più profondi dell’uomo, in conformità alla legge morale naturale inscritta nel cuore di ogni persona. Solamente così sarà possibile, un passo alla volta, uscire dalla logica relativistica fondata sull’egoismo e sull’edonismo e tornare ad adeguare le leggi dello Stato sulla base della ragione e del bene comune, così come auspicato già da San Tommaso d’Aquino.


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