La nota di Marina Brambilla, rettore dell’Università Statale di Milano, è arrivata lunedì. «Vi scrivo in relazione alle manifestazioni e alle proteste del 26 novembre che hanno causato l’interruzione dell’incontro organizzato dalla lista Obiettivo Studenti “Accogliere la vita – storia di libere scelte”. In tale contesto, si sono verificati episodi di aggressività e intolleranza, episodi che non rappresentano l’identità della Statale e che, come espresso, non devono ripetersi». Gli episodi a cui fa riferimento sono le bestemmie, gli insulti e le ingiurie con cui è stato impedito di parlare a Soemia Sibilio, anima del Cav Mangiagalli di Milano, alla neonatologa Chiara Locatelli e a Costanza Raimondi, bioeticista della Cattolica. I fatti risalgono alla scorsa settimana e hanno visto i collettivi fare irruzione nella sala, spintonare e far cadere delle persone, versare acqua in testa agli organizzatori, urlare ingiurie fino a che è stata alzata bandiera bianca.
«Quanto accaduto nel nostro Ateneo, con manifestazioni verbali e fisiche violente, non solo è inaccettabile sul piano etico, ma rappresenta una violazione dei valori fondamentali di una comunità accademica. […] Mai come Statale, pertanto, accetteremo alcun tipo di censura, violenza e intolleranza, da qualsiasi parte venga. […] Per queste ragioni l’ateneo, dopo aver fatto piena luce su quanto avvenuto e aver invitato tutti al rispetto delle regole civili, sta procedendo a una verifica delle responsabilità individuali che saranno segnate da provvedimenti, previa approfondita analisi». Non solo parole dunque, il Rettore annuncia fatti, e non solo per quanto riguarda le responsabilità: «proporremo agli organizzatori dell’incontro dello scorso 26 novembre di riorganizzare l’evento, invitando contestualmente chi ha altre idee sull’argomento a dibatterne nei modi e nelle sedi opportune».
Ma l’episodio è stato così grave che a scendere in campo sono anche i cappellani universitari della Diocesi. «Ci rattrista che iniziative libere e aperte come quella organizzata martedì scorso in Statale – scrive Don Marco Cianci, Responsabile Consulta per la Pastorale Universitaria – vengano impedite in nome della stessa libertà di pensiero e di azione che ha fatto nascere e vivere l’università, dalle sue origini ai giorni nostri, passando attraverso gli anni del fiorire dei movimenti studenteschi. Come credenti nelle parole di Gesù «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 32), siamo incalzati da quanto accaduto a rendere più evidente – attraverso la presenza cristiana in università, semplice e desiderosa di incontrare tutti – che non vi è amicizia, passione per la donna e per l’uomo, accoglienza dell’altro che non ne veneri la libertà, onori i diritti, accolga le domande, tuteli le attese di vita. Desideriamo una università sempre più “laica”, cioè capace di dare spazio a ogni contributo positivo alla costruzione della cultura e della civiltà della vita, dell’amore e della pace».
Ma per i collettivi le attese di vita non sono tollerabili, inaccettabile parlare del concepito, censurato perché piccolo, invisibile, senza voce, schiacciato dai sedicenti “diritti civili” come quello cosiddetto di autodeterminazione della donna, che si traduce in una strage degli innocenti perpetrata ogni giorno nel silenzio legale dei nostri ospedali. La dittatura del pensiero unico – quella che oggi considera normale che l’Università di Torino attivi il primo corso di “studi queer” – si prende spazio così, metro dopo metro.
A meno che dentro gli atenei siano proprio gli studenti ad alzarsi in piedi riprendersi quello spazio pubblico, un convegno dopo l’altro, a difendere la libertà d’espressione, una testimonianza dopo l’altra, a dar voce al concepito, alla vita nascente, al buon senso, alla ragione. E’ l’unico modo per non essere definitivamente silenziati. (Foto: Screenshot TG2000, YouTube)
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