Il ddl Zan, sommerso da oltre mille emendamenti (700 solo della Lega), rischia seriamente di essere rinviato a settembre. Particolarmente significativi, dal punto di vista politico, sono stati i 4 emendamenti presentati dai renziani di Italia Viva.
Affossato da voci insospettabili
È evidente che il tempo ha giocato a favore dello stop: l’approfondimento di un ddl che si voleva approvare “immediatamente” ha consentito all’opinione pubblica di aprire gli occhi su un provvedimento dai tratti dispotici e liberticidi. Tra le prime a dare l’allarme, diverse femministe di lungo corso. Tra queste Marina Terragni, che il primo luglio scorso, intervenendo all’incontro promosso dal network Polispropersona, ha affermato che «il ddl Zan non si prefigge la protezione delle persone omosessuali e transessuali», bensì «l’imposizione di una cultura centrata su un individuo neutro, sciolto da qualsiasi legame con il proprio corpo». Richiamando poi un recente sondaggio, la scrittrice ha ricordato che «la stragrande maggioranza degli italiani ha espresso assoluta contrarietà all’autodefinizione dell’identità di genere [..] che il ddl Zan vorrebbe viceversa imporre».
Sulla stessa linea il sociologo Luca Ricolfi, altro intellettuale di sinistra, per il quale «con il ddl Zan la cosiddetta comunità LGBT ha visto una ghiotta occasione di imporre a tutti la propria, specifica e minoritaria, visione del mondo: un atto di pura prepotenza culturale». Per Ricolfi al di là della confusione che genererebbe l’art. 1 della legge (con «i carcerati che chiedono il trasferimento nei reparti femminili, gli atleti ‘ex maschi’ che gareggiano con le atlete»), l’art. 7 aprirebbe le porte «all’indottrinamento degli scolari e – nella misura in cui sancisce per legge che il genere è una questione di scelte soggettive – rischia pure di suscitare dubbi, e innescare crisi esistenziali, in un periodo della vita molto delicato per qualsiasi ragazzo o ragazza».
Il colpo di grazia dei costituzionalisti (di sinistra)
“È poi stata la volta dei giuristi a fare le pulci al provvedimento (per il PD forse il colpo più duro). Michele Ainis, costituzionalista nonché editorialista di Repubblica e l’Espresso, intervistato da Francesco Borgonovo ha affermato chiaramente che «per punire i crimini d’odio non c’è bisogno di nuove norme, esistono le aggravanti». Queste, spiega Ainis, «aumentano la pena fino a un terzo, e non è poco». Per il giurista l’introduzione del concetto di “identità di genere” non fa altro che «aggiungere altri diritti. I quali altro non sono se non desideri che si trasformano in norme giuridiche». Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia, seppure più aperturista, ad Avvenire ha ammesso che il ddl Zan trascina con sé una «frammentazione del bene da tutelare». Sesso, orientamento sessuale, genere, identità di genere, per Flick «si traducono in concetti vaghi, che possono aprire ad eccessi interpretativi in sede giurisprudenziale». Per il costituzionalista il problema più grave, poi, sarebbe quello che riguarda «l’individuazione della condotta che meriti di essere definita discriminatoria e che quindi renda necessaria una sanzione penale. Per quanti sforzi si possano fare, è davvero difficile capire dove finisce la legittima scelta, decisione ed espressione di un pensiero e dove invece inizi un atto discriminatorio». Parola del Guardasigilli del Governo Prodi.
L’olimpionica e il sessantottino
Anche dal mondo sportivo non sono mancati atti di coraggio. Come quello di Sara Simeoni, la quale, interrogata dalla Verità su Laurel Hubbard, prima transgender a concorrere alle Olimpiadi di Tokyo (dopo aver gareggiato nelle categorie maschili senza particolari successi) risponde così: «Il rischio che vedo è quello di favorire alcuni a scapito di altri. In questo caso a scapito delle atlete donne». Perfino Mario Capanna, leader di Democrazia Proletaria e assoluto protagonista del ‘68, riguardo al ddl Zan è tranchant. Intervistato dal Corriere ha affermato senza mezzi termini: «Noi dobbiamo creare nuovi diritti, non nuovi reati. Il ddl Zan va buttato via. Non serve. Per punire certi reati le norme esistono già».
«I parroci di strada contro il Vaticano»
Va detto, a onor del vero, che un certo mondo cattolico è sembrato decisamente più preoccupato di “non affossare” il provvedimanto che a rilevarne i rischi. Vale la pena ricordare le uscite più spericolate. «Il ddl Zan è pienamente cristiano», per esempio, è quanto andava sostenendo don Giulio Mignani, sacerdote spezzino già salito agli onori delle cronache perché rifiutatosi – in protesta con la Santa Sede – di benedire le palme. All’indomani della nota ufficiale del Vaticano contro il ddl Zan, don Gianluca Carrega – sacerdote torinese responsabile per la Diocesi dell’accompagnamento delle persone omosessuali – si è addirittura spinto a richiedere «più attenzione da parte della santa sede». Perché – ha sostenuto il sacerdote – anche se si tratta solo della «battaglia ideologica di una minoranza dell’episcopato italiano», la nota ha comunque «richiamato l’attenzione di chi è sempre pronto a menare le mani». Testuale. Interessante notare che le uscite dei due sacerdoti siano state raccolte dalla Stampa in un articolo dal titolo significativo: Ddl Zan, i parroci di strada contro il Vaticano: “Ingerenza inaccettabile, dietro non c’è la mano del Papa”.
Mancuso e Porta Pia
Vito Mancuso, su F, settimanale femminile dell’editore Cairo, ha affermato che il ddl Zan va approvato perché «tutte le libertà civili recenti, dal divorzio all’aborto sono un patrimonio che abbiamo guadagnato lottando contro i vertici del Vaticano». E che «anche l’Unità d’Italia l’abbiamo fatta sparando cannonate contro il bastione di Porta Pia». Anche se nessuno farà un mea culpa, non è inutile ricordare, forse, che in questi anni l’ex presbitero è stato invitato ad ammaestrare i fedeli delle diocesi di mezza Italia.
Il focolarino e le crociate
C’è poi il Movimento dei Focolari, che malgrado alcune correnti frustrate e insoddisfatte, nel dibattito politico-culturale è sempre ad un passo dall’irrilevanza. L’ex direttore di Città Nuova Michele Zanzucchi, in un articolo intitolato (freudianamente?) Ddl Zan, il grande imbarazzo, dopo aver temporeggiato fino all’ultimo capoverso (sulla pagina Facebook di Città Nuova lo notano anche molti lettori, membri del Movimento letteralmente sfibrati da tanto zigzagare), nel finale finalmente riesce ad accennare al provvedimento di cui al titolo. Per scrivere però quanto segue: «La comunità cristiana [..] è di fronte a un bivio non di poco conto: o schierarsi in battaglia contro il Ddl Zan, in una riedizione delle crociate, oppure intraprendere un cammino di conversione al Cristo».
Il gesuita che tira la giacca alle Encicliche
L’appoggio più strutturato e “alto” al ddl Zan (non a caso fatto proprio anche dalla VicePresidenza Giovani dell’Azione Cattolica ambrosiana) arriva dal direttore di “Aggiornamenti Sociali”, padre Giacomo Costa. Nella lunga dissertazione il gesuita tenta di piegare a sé alcuni passaggi di recenti documenti papali, prendendo «come criterio guida» il principio per cui «la realtà è superiore all’idea» (esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 231). Se pensiamo però all’introduzione, nel ddl Zan, del concetto di identità di genere (non sei quello che sei ma quello che ti percepisci) capiamo bene come farsi scudo dell’idea che la realtà sia superiore alla fantasia può risolversi facilmente in un autogol. Altra (indebita?) estrapolazione. Scrive padre Costa: «Come afferma il n. 158 di Laudato si’, il bene comune si trasforma oggi nell’esigenza della solidarietà verso chi è scartato. Tutto il resto è chiamato a passare in secondo piano, a partire dalla volontà di marcare il territorio o ribadire i principi». Ma a ben vedere gli “scartati” non sono tanto coloro per cui le leggi ci sono già, bensì proprio quei cristiani che sarebbero impossibilitati a parlare, pena la galera. Insomma, encicliche ed esortazioni apostoliche andrebbero maneggiate con estrema cura.
Se anche il catechismo non va
Per il gesuita Giacomo Costa, infine, anche il lessico della Chiesa andrebbe rivisto: in materia di rapporto omosessuale «una espressione come “intrinsecamente disordinato” finisce per assumere tonalità che suonano dispregiative». Ecco come si passa, in un attimo, dagli intenti pastorali alla dottrina e al Catechismo. Al netto di tutto il fuoco amico in salsa ecclesiale, realismo vuole che a settembre si arriverà comunque ad un qualche testo, visto che tutti, tranne forse FdI, sembrano orientati a «modificare e non affossare». Chiesa compresa.
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