Sì alle celebrazioni del 25 aprile: l’anniversario della liberazione d’Italia, domani, sarà festeggiato. Dopo la netta presa di posizione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro – che, di fatto, aveva deciso di impedire ai rappresentanti dell’Anpi ogni celebrazione del 25 aprile per «evitare assembramenti» – il governo, in seguito alle proteste partigiane, ha fatto dietrofront. Di qui, appunto, la decisione di consentire che i vertici delle associazioni partigiane possano partecipare, rispettando le norme di sicurezza, alle celebrazioni del 25 Aprile.
Il cambio di rotta governativo è stato subito salutato con giubilo dall’Anpi, anche se esso non ha mancato di sollevare nuove perplessità. Soprattutto in quel mondo cattolico che, per ragioni legate all’epidemia, da molte settimane vede limitata la propria libertà di culto, con la possibilità di seguire Messe, Rosari e funzioni varie solamente davanti al televisore o via streaming. Di qui un dilemma che francamente appare difficile non porsi: perché all’Anpi sì e ai cattolici no? Come mai la possibilità di osservare «norme di sicurezza» non viene concessa anche per la celebrazione di quei riti religiosi oggi impediti?
Il Timone ha sottoposto questo interrogativo con Francesco Cavallo, avvocato e membro del Centro Studi Livatino, il quale condivide le perplessità di tanti fedeli. «Posto che il 25 aprile forse si può festeggiare anche da casa, mentre, checché ne dica qualcuno, non si può partecipare realmente ai sacramenti da casa», spiega Cavallo, «bisognerebbe chiedere scusa (ed annullare i verbali) ai preti e ai fedeli sanzionati perché in poche unità, nel rispetto delle misure di distanziamento e con le adeguate protezioni, si trovavano in una Chiesa o su un sagrato o su una strada». (nella foto la Messa interrotta dai militari a Gallignano, provincia di Cremona, domenica 19 aprile)
E come la mettiamo con le disposizioni di queste settimane? Lo abbiamo chiesto sempre al legale del Livatino, che ci ha fatto presente che «i provvedimenti succedutisi in queste settimane consentono l’accesso alle Chiese nel rispetto delle regole di cautela ma, in spregio alla Costituzione e al Concordato, sospendono le cerimonie civili e religiose, comprese quelle funebri». Tutto ciò, ha aggiunto l’avvocato Cavallo, «è incoerente: se si può entrare in un luogo di culto, perché alle medesime condizioni di prevenzione, distanze, e con delegati del parroco che accertino e impediscano che si formino assembramenti non si può assistere a una S. Messa?».
Oggettivamente è difficile, soprattutto dopo l’atteggiamento governativo verso Anpi e 25 aprile, non scorgere detta incoerenza anche se, come evidenzia sempre il referente del Centro Studi Livatino, «a sciogliere il nodo e a far valere la propria libertas ecclesiae nei confronti dello Stato dovrebbe forse essere anzitutto la stessa presidenza della Cei». In effetti, sarebbe stato incoraggiante che i vertici ecclesiali italiani avessero assunto un atteggiamento analogo a quello dell’Anpi che, nel giro di poche ore, ha costretto Palazzo Chigi ad un tempestivo quanto lampante dietrofront. Ne saranno capaci? Non resta che augurarselo.
Ne va infatti non soltanto – ed è già moltissimo, chiaramente – della libertà di culto, ma anche di un aiuto fondamentale, giacché è la laicissima letteratura sociologica, come Il Timone ha più volte evidenziato, a dire che l’affiliazione e la partecipazione religiosa sono pilastri indispensabili per aiutare la salute anche fisica, oltre che psicologica, delle persone. In altre parole, sarebbe proprio nell’interesse di chi è tenuto a salvaguardare la salute pubblica rendere possibili, in condizioni di sicurezza, momenti di preghiera. Certo, per rendersene conto bisogna non indossare gli occhiali dell’anticlericalismo e dell’ateismo o – se li si indossa – trovare il coraggio per abbassarli e guardare, finalmente, la realtà.
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