«Dopo 25 anni, stavolta, non potrò più fare Gesù». C’è un chiaro, inevitabile filo di tristezza nelle parole di Enzo Donnarumma, quarantaduenne di Gragnano, comune di 29.000 anime della città metropolitana di Napoli in Campania. Donnarumma, infatti, da un quarto di secolo veste i panni del Signore nella storica manifestazione che il Venerdì Santo, ogni anno, vede le strade di Gragnano trasformate nella via verso il Golgota, fino alla crocifissione del Cristo che, da quelle parti, viene rappresentata davanti al sagrato della chiesa del Carmine.
Quest’anno però, causa coronavirus, sarà diverso e l’uomo non potrà più dare il suo contributo – pardon, il suo volto – alla manifestazione. La pur sofferta privazione di tale manifestazione può lasciare tuttavia lo spazio alla riflessione. Riflessione a cui Donnarumma non si è sottratto, come mostrano le sue parole riportate sul sito Metropolisweb.it; parole che fanno anzitutto capire come, per un singolare paradosso, colui che a Gragnano interpreta Gesù è un fedele dopotutto comune, non estraneo a fasi di incertezza: «Mi ritengo credente anche se ho i miei dubbi».
Ciò nonostante, Donnarumma non nasconde di aver provato una sensazione molto particolare ogni volta che ha vestito in panni del Crocifisso. Una sensazione spiritualmente fortissima e difficile da spiegare. «Sento la sua vicinanza», spiega al riguardo l’uomo, «e per me è uno choc. Bastano pochi minuti dall’inizio della rappresentazione che la mia mente è rapita, è difficile spiegarlo. Si va quasi in estasi». Il “Gesù di Gragnano” esagera? No, al contrario. Le sue parole ricordano molto quelle dell’attore Jim Caviezel, protagonista del noto film di Mel Gibson La Passione di Cristo.
Caviezel ha difatti ammesso che, durante le prese della pellicola, percepiva una sensazione speciale: «Sentivo come una grande presenza dentro di me». Una grande presenza che portava l’attore ad immedesimarsi ancor più nel personaggio che interpretava: «Non voglio che la gente veda me. Voglio solo che vedano Gesù». Ma torniamo ora a Gragnano, perché l’uomo che interpreta Nostro Signore ha ancora qualcosa da dire su quella «vicinanza» che prova quando veste i panni del Crocifisso.
«Quando mi spoglio dei panni di Enzo e provo a indossare quelli di Cristo», racconta, «la sensazione è quella di essere avvolto, protetto, amato. Pensare che su questa terra qualcuno, e uno solo, ha rinunciato a tutto e si è sacrificato per amore va oltre qualsiasi aspettativa. E’ talmente travolgente che mi servono alcuni giorni per ritrovarmi nel mio stesso corpo. Cristo non può essere imitato, non siamo ancora pronti né, forse, capaci». Difficile non condividere tali considerazioni per quanto, naturalmente, ogni cristiano sia chiamato a provare, pur con tutti i limiti, a «imitare» Gesù e la sua testimonianza.
Ma quest’anno che non potrà impersonale il Crocifisso, che farà il suo interprete campano? Seguirà, come tutti i cristiani, la Passione tramite i suoi più fedeli resoconti: i Vangeli. «Quest’anno, per la prima volta nella mia vita, non rappresenterò il Cristo, ma questo non ha inciso sulla mia preparazione, trascorro tempo a leggere i Vangeli che sono esercizi tecnici essenziali». Trattasi di considerazioni, ancora una volta, più che condivisibili e che confermano come, dopo 25 anni di interpretazioni del Cristo, quest’uomo abbia capito quel che, a tratti, sembra sfuggire anche a certi teologi, e cioè l’importanza dei Vangeli, testi sì «essenziali» ma anche i soli che possano far davvero capire – anche in questi tempi difficili, anzi soprattutto in questi tempi – cos’è stato il sacrificio di Cristo e cosa sia il Suo infinito amore per noi.
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