Tra i primati poco rassicuranti dell’anno appena trascorso, ce n’è uno poco ricordato e che merita particolare attenzione: quello del drammatico aumento delle persecuzioni anticristiane in India. Il dato è assai rilevante per almeno due ragioni. Il primo è che si sta parlando di un Paese che, con i suoi 1,4 miliardi di abitanti, è tra i più popolosi del globo; il secondo è che il 2021, da poco concluso, è risultato «l’anno più violento» nella storia del Paese, per quanto riguarda appunto le persecuzioni anticristiane.
Lo rivelano i dati raccolti dall’United Christian Forum (Ucf), un organismo di protezione dei diritti cristiani, secondo cui quello da poco concluso è appunto stato, in India, «l’anno più violento per i cristiani» a partire dal 2014, quando questa organizzazione ha attivato e reso disponibile una linea di assistenza gratuita che aiuta i cristiani in difficoltà a raggiungere le autorità pubbliche. I numeri che arrivano da New Delhi, in effetti, sono decisamente preoccupanti.
Secondo l’Ucf, i 279 casi di aggressioni e violenze anticristiane registrati nel 2020, l’anno scorso sono aumentati a ben 486, facendo segnare una crescita pari al 75% in più. Se invece si prende come termine di paragone il 2014 – quando di questi casi se ne conteggiarono 127 – l’aumento appare ancora più allarmante: più 287%. In appena 7 anni, è un’impennata vertiginosa, di cui Il Timone aveva già dato conto qualche anno fa, e che non lascia presagire nulla di nuovo, considerando che, in effetti, non c’è stata finora annata che non sia stata meno drammatica della precedente.
La ragione di tale aumento di violenze contro i cristiani – i quali, giova ricordarlo, costituiscono appena il 2,3% del totale della popolazione indiana – poggia su varie motivazioni, in primo luogo legislative. Va a questo proposito ricordato come in India, nell’agosto 2019, sia sta approvata all’unanimità dall’Assemblea legislativa dello Stato una “Legge sulla libertà religiosa dell’Himachal Pradesh” che prevede «punizioni rigorose – fino a sette anni di carcere rispetto ai tre anni previsti dalla legislazione in vigore», per chi venisse ritenuto colpevole di conversioni religiose forzate.
Si potrebbe naturalmente discutere su cosa sia davvero da intendersi come «conversione forzata»; ma la realtà è che simili leggi hanno rafforzato un preesistente clima ostile contro le fedi minoritarie, che sono quella musulmana e cristiana appunto. Emblematico, in proposito, quanto avvenuto nel 2015, quando la Corte Suprema stabilì che una persona che si «riconverte» dal Cristianesimo all’Induismo ha diritto ad alcuni benefici – da cui i cristiani sono normalmente esclusi – se gli antenati del convertito appartenevano a una casta riconosciuta e se la comunità accetta nuovamente il convertito dopo la «riconversione».
A ciò si aggiunga che, di norma, le leggi anticonversione sono spesso approvate per espresso volere di gruppi nazionalisti indù – i quali, in buona sostanza, temono che il carattere induista della loro nazione possa essere minacciato della crescita di fedi concorrenti – e si capisce come l’escalation di aggressioni e violenze ai danni dei cristiani, che non sono liberi di tenere neppure una croce in casa, tutto sia fuorché casuale. Ne consegue, con tali premesse, come il drammatico numero di violenze registrate 2021, «l’anno nero» dei cristiani in India, quest’anno potrebbe essere nuovamente superato. Del resto, la consolidata indifferenza dell’Occidente al fenomeno della cristianofobia certo non aiuta, anzi.
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