Il problema della miseria di tanti Paesi nel mondo dipende soprattutto da ragioni culturali. Certe religioni e credenze del Terzo Mondo ostacolano il progresso. Invece, dove il Vangelo è stato accolto, anche le condizioni di vita sono molto migliorate
Visitando le missioni nel Sud del mondo ho fatto spesso l'esperienza di una doppia lettura del perché c'è un abisso fra i popoli poveri e quelli ricchi.
In Italia si attribuisce normalmente la radice di questo fatto angoscioso a cause materiali: finanze, tecnologie, commerci, prezzi delle materie prime, colonialismo, debito estero. Fra i missionari sul campo, che hanno conoscenza diretta di quei popoli da decine di anni, si fa invece quasi esclusivo riferimento alle cause storico-educative-culturali-religiose: mentalità e culture fondate su visioni inadeguate dell'uomo; religioni che, pur avendo anche valori da salvare, ostacolano lo sviluppo; strutture familiari e sociali che andrebbero radicalmente cambiate (la poligamia, le caste, lo stato di inferiorità della donna ad esempio); superstizioni che umiliano l'uomo di fronte al mistero che lo circonda e gli impediscono una piena libertà di spirito. E spesso concludono: «Qui solo il Vangelo può cambiare queste situazioni disumane di miseria e di ignoran.za». Le due letture non si escludono ma si completano, cioè l'abisso fra Nord e Sud viene sia da cause materiali-finanziarie che da cause religioso-culturali. Ma la radice del sottosviluppo non sta nelle prime molto studiate e reclamizzate, piuttosto nelle seconde di cui non si parla quasi mai. Per cui, l'Occidente ricco ed evoluto, che s'interroga su cosa fare per aiutare i poveri a casa loro affinché si sviluppino, è vittima dell'illusione che basti essere più "solidali" con il Sud in senso economico-tecnico per risolvere il problema. Non è così, e mezzo secolo di campagne contro la fame insegna che la radice delle diversità fra i popoli di fronte all'avanzare del mondo moderno sta in religioni e culture che causano lo sviluppo dell'uomo oppure lo bloccano. Per favorire lo sviluppo dei popoli poveri, soldi e macchine servono, ma non bastano. È indispensabile un'educazione e formazione a quei valori che le religioni e culture locali non hanno. Pensiamo ai diversi risultati che hanno ottenuto il "Piano Marshall" nell'Europa distrutta dall'ultima guerra mondiale e tutti i "finanziamenti dei piani di sviluppo" verso i paesi dell'Africa nera dopo la fine della colonizzazione nel 1960. In pochi anni i primi hanno prodotto sviluppo, i secondi hanno prodotto in gran parte corruzione e le cosiddette "cattedrali nel deserto".
L'Africa nera ha ricevuto, nell'ultimo mezzo secolo, molto più denaro di quanto ne ha ricevuto l'Europa nell'ultimo immediato dopo guerra. Eppure l'Africa oggi è un continente non solo sottosviluppato, ma anche, purtroppo, "in via di sottosviluppo".
L'Undp (United Nations Development Program) è un organismo dell'Onu che monitora lo "sviluppo" dei vari Paesi secondo 12 criteri che comprendono istruzione, sanità, libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e della donna, finanze, benessere diffuso, ecc. Una statistica del 2003 dice che vi sono nel mondo 55 Paesi sviluppati, 85 Paesi in via di sviluppo, 34 Paesi in via di sottosviluppo, quasi tutti nell'Africa nera.
I 34 "in via di sottosviluppo" sono proprio quelli in cui l'analfabetismo è più elevato.
Nella Guinea-Konakry gli analfabeti sono il 64%, nella Sierra Leone il 68%, in Mali il 69%, in Guinea Bissau il 45% della popolazione; ma un'inchiesta locale del 1995 diceva che più di metà degli "alfabetizzati" erano "analfabeti di ritorno", cioè sapevano a mala pena fare la firma e non leggevano nulla. In genere, in Africa gli analfabeti sono il 50% e visitando vari Paesi è comune sentir dire che dai primi anni dell'indipendenza ad oggi il sistema scolastico è peggiorato.
Com'è possibile che, nel mondo globalizzato, si sviluppi un popolo in maggioranza analfabeta? Questo è il primo problema dell'Africa nera! La stessa situazione si verifica nel campo della sanità di base, due aspetti molto trascurati dalle autorità politiche.
«Il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell'uomo e dei popoli – ha scritto Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima 2006 – non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell'annunzio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l'autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell'uomo». Parole che esprimono l'esperienza secolare della Chiesa nel suo impegno in Africa (cioè dei missionari e dei volontari sul campo): il primo motore dello sviluppo è l'educazione dell'uomo, l'adattamento di religioni-culture-strutture sociali al mondo moderno. Se non c'è un popolo preparato, lo sviluppo non parte.
Nell'enciclica Redemptoris Missio (n. 58) Giovanni Paolo Il scrive: «I missionari più che in passato sono oggi riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi». I missionari promuovono lo sviluppo non solo perché l'annunzio di Cristo ai non cristiani si realizza in opere di carità e assistenza: scuole, centri sanitari, lebbrosari, promozione della donna e degli ultimi. Molti enti, a partire dai governi e dalle istituzioni locali e internazionali, realizzano le stesse opere, ma spesso non causano sviluppo. I missionari fanno soprattutto altro: risvegliano le coscienze col Vangelo, che rivoluziona la famiglia e la società orientandole verso «il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane», come Paolo VI definiva lo sviluppo (Populorum Progressio, n. 20).
Il Figlio di Dio Gesù Cristo si è fatto uomo per comunicare all'uomo quelle idee nuove e rivoluzionarie che portano allo sviluppo dell'umanità: ci ha rivelato il volto di Dio, Padre buono e misericordioso; l'uomo creato da Dio "a sua immagine e somiglianza", quindi la dignità e il valore assoluto di ogni uomo e di tutti gli uomini; l'uguaglianza e la complementarietà fra uomo e donna e il matrimonio monogamico; la natura creata per servire l'uomo, che deve dominarla e trasformarla; la nobiltà di ogni lavoro umano (anche questo è un concetto che non esiste in altre culture, dove l'ideale è di poter guadagnare senza fare nulla); i concetti di democrazia, solidarietà e giustizia sociale vengono dal Vangelo, come l'amore a tutti gli uomini fino a "dare la vita per gli altri", il perdono e via dicendo. Molti pensano che più o meno tutte le religioni si equivalgono, sono vie diverse che portano tutte a Dio. È vero che c'è un solo Dio, tutti i popoli ci credono e lo pregano (non esistono popoli atei!), ma noi crediamo (e la storia lo dimostra) che solo il Vangelo è autentica Parola di Dio ed è sempre valido in tutti i secoli e solo il Vangelo è alla radice dello sviluppo del mondo moderno, che infatti è nato e si è sviluppato attraverso lunghi secoli nell'Occidente cristianizzato, non nei Paesi dell'induismo, buddhismo o islamici o africani.
Nehru si interrogava del perché l'India, paese di civiltà più che millenaria, aveva dovuto attendere il secolo XIX per ricevere dall'Europa i principi e le idee operative su cui è fondato il mondo moderno. Rispondeva di non avere risposta esauriente, ma avendo vissuto e studiato in Inghilterra, scrive: «La differenza era questa: in Europa forze invisibili ribollivano all'interno delle sue masse, facendole continuamente evolvere. In India, invece, la situazione era statica. La natura statica della società indiana rifiutava di evolversi» (The discovery of India, New York 1964, pago 283). Infatti, la cultura occidentale si è imposta a tutti i popoli, pur avendo non pochi aspetti condannabili (l'ateismo pratico, la scienza usata a scopi disumani, ecc.). Nessun'altra grande e millenaria cultura, pur avendo "valori da salvare" (come spesso diciamo anche delle culture africane), si è imposta come ispiratrice del mondo moderno e dello sviluppo nemmeno nei Paesi in cui sono nate e si sono radicate nei rispettivi popoli.
DA NON PERDERE
P. Piero Gheddo, Vangelo e sviluppo dei popoli, Edizioni ART – Quaderni del Timone, pp. 64, € 6.
«La mancanza di sviluppo nel Paesi poveri è solo colpa dell'egoismo del popoli occidentali? O delle crisi economiche mondiali? Oppure esiste un problema culturale, che riguarda la concezione della vita e della morte, e la visione dell'uomo, che I popoli del Terzo mondo devono affrontare e risolvere se vogliono uscire dal dramma della miseria? E Il Cristianesimo è un fattore di sviluppo oppure è un ostacolo a questo possibile itinerario? A queste difficili domande risponde padre Piero Gheddo, alla luce dell'esperienza di 50 anni di missione e grazie alla capaciti di giudizio che gli proviene dall'Insegnamento della Chiesa, del magistero pontificio In particolare». (dalla IV di copertina).
IL TIMONE N. 86 – ANNO XI – Settembre/Ottobre 2009 – pag. 52 – 53