Sui nostri canali televisivi impera il relativismo che, sui temi etici, è l'unico ad avere diritto di parola. Da segnalare alcune lodevoli eccezioni.
Come abbiamo detto altre volte, la televisione non è uno «specchio» della realtà, bensì è un «discorso» fatto da pochissimi a moltissimi.
Questa chiave di lettura, che abbiamo argomentato e spiegato in altre occasioni, ci sembra assolutamente centrale per comprendere il fenomeno televisivo.
E qual è questo discorso, nella televisione italiana del 2007?
Una delle prime cose da notare, in questi mesi in cui è in corso una grande battaglia – culturale prima che politica – sul modello di famiglia verso cui vuole orientarsi la società italiana, è che mentre su molti temi etico-sociali importanti (diffusione delle armi, lotta alla disoccupazione e alla povertà, strategie per lo sviluppo economico del Paese, tutela della privacy e delle libertà individuali, inquinamento, ecc.) sono rappresentate in televisione varie posizioni, invece su alcuni temi etici sensibili (rapporti sessuali pre o extra-matrimoniali, valutazione morale delle relazioni omosessuali, eutanasia, fecondazione artificiale) c'è una sorta di unanimismo, che va dalle dichiarazioni ai giornali delle soubrette di turno fino al telefilm americano più sofisticato (il tanto lodato Or. House non risparmia critiche alla Chiesa cattolica o dichiarazioni a favore dell'eutanasia), passando attraverso praticamente tutti i salotti televisivi, che sono la multiforme espressione del pensiero unico dominante. Gli unici che hanno il coraggio di ospitare posizioni diverse sono il Vespa di Porta a porta (che però tende ad avere derive di gossip e di trash sempre più frequenti) e soprattutto Giuliano Ferrara nel suo Otto e mezzo, che rimane fra i pochi talk show televisivi che meritano di essere seguiti.
Dopo l'esperienza del referendum del 2005, in occasione del Family Day del maggio 2007 si è avuta di nuovo una riprova di come gran parte del mondo televisivo sia lontano dalla maggioranza silenziosa e non rappresentata del Paese reale. Di nuovo irrisi tanto nel programma di Santoro, come in quello di Chiambretti, oggetto di tentativi di «disinnesco» dalle posizioni pilatesche del Tg1, i sostenitori della famiglia hanno dovuto scendere in piazza per far vedere che ci sono e sono tanti e non sono un relitto del passato. Molti volti celebri della tv e dei salotti buoni – in testa Alessandro Cecchi Paone, seguito da tanti altri nomi noti del circo mediatico nostrano – hanno invece dato una immediata adesione alla contromanifestazione dell'«orgoglio laico» di Piazza Navona, che però, come si è visto dai numeri, ha un assai esiguo radicamento popolare.
Quando si parla di pluralità e di pluralismo del nostro sistema mediale si deve tener conto di questa grave difficoltà e di questi fortissimi squilibri, per i quali alcune posizioni tendono a non venire riconosciute come tali nei grandi media. La media élite ancora una volta tende a polarizzarsi su alcuni valori piuttosto che su altri. La situazione è resa ancora più seria dal fatto che le posizioni più ragionevoli, ma più difficili da argomentare, vengono travolte dalla dittatura della soggettività e delle «libere opzioni» personali, e il risultato, per lo spettatore, è l'estrema difficoltà di mantenere un punto di vista argomentato sulle posizioni etiche.
Alla fine, così, vince una sorta di relativismo pratico, in cui in fondo va bene tutto e il contrario di tutto.
Ad aumentare la confusione contribuisce non poco la logica dell'«infotainment» (information + entertainment), ormai dilagante in molti programmi televisivi, che si traduce nella tendenza a presentare e porre ogni cosa sullo stesso piano. Le trasmissioni somigliano sempre più a contenitori dove può rientrare di tutto: problemi etici, gossip, dibattici politici, balletti e telepromozioni.
Qualsiasi cosa può diventare argomento di discussione, e non importa se chi è chiamato a intervenire non ha alcuna competenza in merito.
Nella confusione in cui tutti esprimono le proprie aspirazioni, il primato diventa solo del punto di vista personale e della realizzabilità di ogni desiderio. In questo senso, prima ancora che essere frutto di prese di posizione precise, la deriva verso i Pacs-Dico-Cus si innesta su questa tendenza a dare piena legittimità ad ogni aspirazione («che male c'è se si vogliono bene?»), nell'incapacità di pensare a che cosa significa questo come modello organizzativo della società, come rapporto fra diritti e doveri, come strutturazione di legami solidi che possano dare elementi di stabilità e generare vera socialità, riconoscimento reciproco, legami forti nel tessuto sociale.
Se dal piano dei talk show e dei dibattiti passiamo alla fiction, dobbiamo anzitutto notare l'estrema pervasività con cui viene proposto un modello iper-romantico, in cui l'amore è una forza dirompente e trascinante rispetto alla quale qualsiasi considerazione che tenga conto della realtà e stabilità dei legami, della possibilità di costruire e difendere un futuro stabile all'interno della famiglia, sembra assolutamente impossibile.
L'amore è una tempesta che tutto trascina, che porta da una parte all'altra in modo capriccioso e di fronte alla quale non si può opporre nulla. Sono modelli che si trovano all'ennesima potenza nei generi più vicini a Beautiful e in generale alle soap – si pensi a Incantesimo e Capri su tutti -, ma che pervadono di sé anche altri generi e altre storie. Un modello che, mentre glorifica il sentimento e la passione, nasconde il potenziale disgregante e distruttivo che ha, perché non è capace di tutelare la durata dei legami, la generatività e l'educazione dei figli, la solidarietà fra i sessi e fra le generazioni.
Eppure la «buona televisione» esiste: non solo i programmi per bambini della Rai (assai meritevoli) o quelli di divulgazione storica come La storia siamo noi di Giovanni Minoli o La grande storia di Raitre, che nella stagione appena conclusa ha proposto con successo in prima serata dei bellissimi documentari sui Papi del XX secolo. Ci sono anche (ogni tanto, ma ci sono) ottime fiction (per es. quella su Borsellino di Mediaset, le fiction su De Gasperi, su Bartali, su San Pietro e su Giovanni Paolo Il per la Rai). E, si badi bene, sono stati tutti programmi di grandissimo successo. E a proposito di fiction, è in arrivo quest'autunno uno dei più bei prodotti televisivi degli ultimi decenni: uno stupendo Guerra e pace prodotto dalla Lux vide per Raiuno che andrà in onda in quattro puntate.
La buona televisione esiste ed è possibile: per questo è giusto pretendere che ce ne sia di più e che i programmi trash vengano messi nel cestino della spazzatura.
Armando Fumagalli – Chiara Toffoletto (a cura di), Scegliere la tv. Una mappa ragionata da "Affari tuoi" a "Winx Club", Ares, 2007.
Nel solco della fortunata serie di libri di critica cinematografica dal titolo Scegliere. un film, le edizioni Ares propongono quest'anno Scegliere la tv. Di solito la critica televisiva analizza solo gli aspetti formali ed artistici dei programmi, questo libro invece valuta i valori e i modelli di vita che vengono proposti da quasi 150 programmi televisivi in onda quest'anno. Si va dall'informazione all'intrattenimento, dalla divulgazione scientifica al varietà. Di particolare utilità, soprattutto per insegnanti ed educatori, sono per esempio le schede sulle serie televisive americane, molto viste da bambini e adolescenti e molto lodate dalla critica: spesso però i modelli antropologici che presentano lasciano molto a desiderare.
Il libro cerca anche di segnalare quali sono i programmi più interessanti nei vari generi e quelli che vale la pena vedere, perché offrono contenuti arricchenti sul piano umano e culturale o anche per un semplice sano intrattenimento. Alcune tabelle riassuntive facilitano la consultazione.
Bibliografia
Ettore Bernabei (con Gabriele La Porta), Tv qualità terra promessa, Eri, 2003.
Gianfranco Bettetini – Paolo Braga – Armando Fumagalli (a cura di), Le logiche della televisione, Angeli, 2004.
Tommaso Scandroglio, Tv accesa, cervello spento, Edizioni Art, 2005.
IL TIMONE – N.66 – ANNO IX – Settembre/Ottobre 2007 pag. 18-19