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22.12.2024

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Telefilm USA: pedagogia relativista
31 Gennaio 2014

Telefilm USA: pedagogia relativista

 

 

 

 

Una mappa sintetica delle serie che hanno più successo e che sono allineate ad una cultura relativista. In contrasto con la morale non solo cattolica, ma anche naturale.

I telefilm americani sono i programmi televisivi del momento. Se ne scrive tantissimo sui giornali, si studiano nelle facoltà di comunicazione delle università, i Dvd delle serie invadono le edicole dove ormai insidiano i fumetti nell'offerta di racconti di puro svago. È tutto oro quello che luccica? No, il successo delle serie ha qualche controindicazione culturale. Provo qui a sottolinearla. Prima, però, una doppia premessa.
La prima, doverosa, osservazione preliminare: c'è una ragione oggettiva alla base della moda dei telefilm: i telefilm americani sono, effettivamente, fatti benissimo. Dal punto di vista tecnico sono il meglio che passa oggi la televisione: riprese ardite, storie attuali, colpi di scena a getcontinuo.
La seconda osservazione introduttiva: il successo dei telefilm non è così ampio come sembra. Il pubblico dei telefilm si attesta su medie di 4 milioni e mezzo di ascoltatori per i titoli di punta, quelli da prima serata, molto meno per i titoli più di nicchia, di seconda e terza serata. Quantitativamente, dunque, non c'è confronto con la italiana, le cui medie di ascolto si assestano nella maggior parte dei casi sopra i 6, spesso sopra i 7 milioni. Perché questo scarto? Perché i telefilm contemporanei sono un prodotto sofisticato, dal ritmo serrato: troppo per lo spettatore della televisione generalista, cui sono assai più consoni i tempi piani dei nostri sceneggiati e la loro morale immediata, facile da evincere a partire dalle primissime scene.
Proprio qui, però, sta il primo aspetto delicato del fenomeno. Il pubblico di nicchia dei telefilm di oggi è il pubblico di massa della televisione di domani: le serie, infatti, parlano soprattutto ai giovani e formano i loro gusti, la loro mentalità. Formano, dunque, la cultura di massa dei decenni a venire. Gli spettatori adolescenti e i giovani adulti guardano poco la televisione, e quel poco che guardano sono, di solito, le serie Usa: Or. House, Heroes, Ugly Betty, C.S.I., Nip/Tuck, Grey's Anatomy, Desperate Housewives.
Alla luce di tutto questo, si può formulare la domanda cruciale: nella prospettiva cattolica, nell'ottica della morale naturale, come vanno giudicati i telefilm? Vanno giudicati negativamente. Le serie sono allineate ad una cultura relativista e la loro pedagogia narrativa è, in tal senso, uniforme.
È una pedagogia che l'offerta dei telefilm scandisce in tre tappe, corrispondenti ai tre principali generi di serie: le serie per adolescenti, dette teen drama; le serie comiche, cioè le sitcom, che di solito rappresentano giovani adulti; infine le serie professionali, cioè i telefilm drammatici, che rappresentano personaggi adulti.
Le serie per adolescenti (The a.c. è stato il successo più recente) ereditano dalla contestazione giovanile degli anni Sessanta il sentore della frattura generazionale: una barriera di incomprensione, ma, soprattutto, un gap morale a loro favore, separa i ragazzi dai grandi. I telefilm sui liceali quindici/ventenni operano, infatti, una sistematica «demolizione» del paesaggio umano dei maggiorenni. Gli adulti sono descritti come personalità irresponsabili, incapaci di fedeltà coniugale, lontani dall'assolvere i loro doveri di educatori. Mettere in cattiva luce gli adulti è un espediente di scrittura. Serve a far spiccare in positivo, nel confronto, il mondo dei protagonisti adolescenti: per quanto angustiati da radicali frustrazioni, da amori travagliatissimi, i ragazzi mostrano solidarietà generazionale, e tanto basta per farne dei modelli agli occhi dei coetanei spettatori.
La seconda tappa pedagogica coincide con le sitcom (Friends, Wi/l & Grace) che intessono una romantica, frizzante elegia dell'amicizia tra giovani adulti. Il sodalizio tra trentenni indecisi è raccontato in queste serie come l'unico rifugio possibile dopo il supposto tramonto dell'istituzione familiare. Così, i gruppi di amici delle sitcom formano microcosmi ripiegati su di sé, composti da persone mal disposte alle responsabilità di un mondo che esse avvertono come carico di incognite. I protagonisti si sfogano con una comicità che insiste su temi psicologici notevoli, come, per esempio l'omosessualità (è il caso del citato Will & Grace, che racconta la convivenza tra una single affetta da nevrosi, Grace, e un omossesuale sensibile e comprensivo, Will).
Una pedagogia simile a questa è quella delle serie squisitamente femminili.
Così è per l'avvocatessa nevrotica Ally MeBeal, protagonista dell'omonima serie. Così è per il gruppo femminile di Sex & The City, amiche a Manhattan, sospese tra sesso, moda e romanticismo. Così è, in un crescendo di perversione, in Desperate Housewives, le casalinghe disperate. E lo stesso dicasi per il successo del momento, Grey's Anatomy, con le febbrili indecisioni sentimentali della sua protagonista, la dottoressa Meredith. La costante è il disagio per il fallimento del femminismo, l'incapacità di coniugare l'autonomia della single con le aspirazioni sentimentali e familiari «di una volta», diciamo, «tradizionali».
Infine, la terza tappa della pedagogia telefilmica: le serie professionali dram. matiche. Dai medici di ER fino, sia pure con qualche differenza, a Dr. Houf se. Qui si accentua il senso di un destino subdolo, che si ostina a non dare risposte ai personaggi sul perché delle loro sofferenze. Sullo sfondo di un'epoca disorientata, le vite dei poliziotti, dei medici o degli avvocati si intersecano a formare piccoli universi in precario equilibrio alla ricerca di un significato che fughi un disorientamento strisciante. Lost, con i suoi naufraghi misteriosamente riuniti su un'isola prodiga di rivelazioni, ha squadernato questa atmosfera di sospensione interrogativa.
La conclusione è obbligata. Chi ama i valori cattolici e ama anche la televisione fatta bene, oggi non può che trovarsi in conflitto con se stesso quando guarda i telefilm: tecnicamente belli, ma moralmente molto discutibili.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

PAOLO BRAGA – ARMANDO FUMAGALLI, La malinconia del multistrand, in Link Focus 2007, numero monografico sui telefilm.
ARMANDO FUMAGALLI – CHIARA TOFFOLETTO (a cura di), Scegliere la tv, Ares, 2007.
SPENCER LEWERENZ – BARBARA NICOLOSI (a cura di), Cristiani a Hollywood, Ares, 2007.


 

IL TIMONE  N. 69 – ANNO X – Gennaio 2008 – pag. 52-53

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