Google, Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Tik tok, Linkedin… Nomi sconosciuti fino a un quarto di secolo fa, oggi popolano l’immaginario collettivo di miliardi di persone. Rientrano nella definizione generale di social network, una rete sociale di siti internet e tecnologie che, secondo la definizione della Treccani, «consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro» e dove «gli utenti non sono solo fruitori, ma anche creatori di contenuti». Accade così che la cosiddetta social generation, affollata di giovanissimi, rischi di diventare quella della sessualizzazione precoce ripresa dai cellulari e condivisa appunto sui social. Di più, la «rete» cattura la nostra attenzione e usa i nostri profili per venderci prodotti e soprattutto convinzioni, al punto di privarci progressivamente e in modo inconsapevole della libertà. The Social Dilemma, documentario con elementi di finzione (docudrama) disponibile sulla piattaforma Netflix da un paio di mesi con l’obiettivo di rivelare il ruolo dei social, ha aperto il dibattito sulla loro natura e l’uso che se ne fa. Ne abbiamo parlato con Alberto Contri (foto), tra i massimi esperti di comunicazione. Dopo essere stato ai vertici di importanti multinazionali, presidente di Pubblicità Progresso e consigliere Rai, attualmente si dedica alla consulenza e all’insegnamento.
Fino a che punto i social network, che hanno invaso la nostra vita, sono una risorsa, un aiuto a vivere, o non piuttosto uno strumento di distrazione, se non di distruzione di massa?
«Per rispondere faccio un esempio. Il lockdown, in cui tutti siamo stati costretti a immergerci nei mesi scorsi, ha sicuramente dimostrato l’utilità delle piattaforme di comunicazione come Zoom o Microsoft Teams. Ma tutti i docenti, me compreso, avvertono la mancanza… (per leggere l’intervista acquista il Timone o abbonati)
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