«Desidero ringraziare il Papa». Queste le scarne, commosse parole pronunciate il 24 settembre, tre giorni dopo la sua ordinazione, da monsignor Giuseppe Li Shan, 43 anni, nuovo arcivescovo di Pechino, prima di iniziare la celebrazione della Messa di insediamento nell'antica chiesa di San Salvatore (Bei Tang). Il presule, che ha promesso di visitare tutte le parrocchie della diocesi, che conta circa 50mila cattolici, all'inizio del suo ministero ha voluto così ringraziare pubblicamente Benedetto XVI per l'approvazione data alla sua nomina.
E ha anche sottolineato «l'urgenza che tutti i cattolici della capitale vivano la missione nei loro ambienti, dal momento che la società cinese è alla ricerca di valori spirituali». Li Shan ha pure chiesto che «tutti insieme, sacerdoti e laici, siano uniti in questo compito».
«Le poche parole di ringraziamento a Ratzinger da parte del nuovo arcivescovo», ci dice padre Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia AsiaNews e uno dei massimi esperti occidentali della Cina, «hanno diradato gli ultimi dubbi, che ancora molti fedeli avevano, sulla liceità della sua ordinazione. Fino all'ultimo, infatti, vi è stato silenzio da parte vaticana e, invece, un notevole clamore da parte del vice-presidente dell'Associazione patriottica, il laico Liu Bainian, che rivendicava alla stessa Associazione e al Consiglio dei vescovi cinesi la paternità della scelta». Quello che è certo, è che il nuovo arcivescovo «è in comunione con il Papa».
«È un fatto positivo», ha commentato monsignor Ferdinando Filoni, sostituto alla Segreteria di Stato Vaticana.
«Speriamo che sia la prima pagina di una lunga storia. La nomina dei vescovi», ha aggiunto, «è uno dei temi decisivi nel cammino per ristabilire rapporti tra Pechino e Santa Sede, tema che si affianca a quello della libertà della Chiesa e quindi del diritto dei cristiani di poter professare liberamente la propria fede».
Li Shan è stato ordinato arcivescovo di Pechino la mattina del 21 settembre, nella cattedrale cattolica dell'Immacolata Concezione (Nan Tang), alla presenza di un migliaio di persone, autorità del governo e personalità dell'Associazione patriottica (Ap) , affiancate da un imponente servizio di sicurezza. Li Shan è conosciuto come un pastore «vivace». È stato parroco della chiesa di San Giuseppe, animata da una numerosa comunità giovanile e dove ogni anno avvengono centinaia di battesimi di adulti.
Vediamo chi c'era sull'altare. Il vescovo consacrante è stato Giovanni Fang Xingyao, vescovo di Linyi. Insieme con lui hanno concelebrato Zhang Hanmin di Jilin, Pei Junmin di Liaoning e Luigi Yu Runsheng di Hanzhong: tutti e quattro vescovi riconosciuti dal Vaticano. «L'ordinazione di Li Shan», commenta padre Cervellera, «viene così a chiudere un capitolo amaro nella vita della diocesi di Pechino, che fino al 20 aprile 2007 era retta dal vescovo "patriottico" Michele Fu Tieshan, un pastore che in un trentennio non ha mai ritenuto necessaria la riconciliazione con il Papa». Proprio per questa ragione, i cattolici di Pechino non partecipavano più alle cerimonie in cui Fu era presente. Viceversa, gli stessi fedeli non hanno nascosto la loro gioia nel sapere della rinnovata unità fra Chiesa di Pechino e Santa Sede".
L'Associazione patriottica, in particolare il vice-presidente Antonio Liu Bainian, non ha nascosto il tentativo di bloccare l'ordinazione. Riuscendo, però, solo a ingessar la con un rigido cerimoniale e permettendo la partecipazione a pochi fedeli. Esclusivamente invitati scelti; niente foto; niente contatto fra il vescovo e i fedeli; tempi calcolati (poco più di un'ora); la presenza imbarazzante di alcuni vescovi non in comunione col Papa. Inoltre, per evitare che il neovescovo avesse contatti con la Santa Sede, Li Shan è stato isolato con la scusa degli "esercizi spirituali" prima dell'ordinazione. Ma l'arcivescovo eletto aveva già da tempo chiesto l'approvazione al Papa e, secondo Cervellera, «Benedetto XVI gli avrebbe inviato una croce pettorale come segno di comunione».
La conferma ufficiale dell'approvazione vaticana si è avuta con una nota de L'Osservatore Romano, che afferma che questa ordinazione e una precedente, l'8 settembre a Guiyang, sono avvenute «in comunione con il Papa» e i due presuli sono «riconosciuti dal governo». Si auspica, inoltre, che «tutte le diocesi possano avere pastori degni e idonei, capaci di vivere in piena comunione con la Chiesa cattolica e con il Successore di Pietro e di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo al popolo cinese».
Spiega padre Cervellera: «In effetti, in Cina vi sono decine di diocesi che hanno bisogno di un nuovo vescovo. L'Associazione patriottica – che punta a una chiesa nazionale, indipendente dalla Santa Sede e gradita al potere comunista – pretende per sé la responsabilità delle scelte. Il Vaticano invece, pur lasciando le indicazioni di "candidati degni" alle comunità cristiane (e non all'Ap), afferma che la designazione ultima i deve venire da Roma, come è nella prassi e nella comunione della Chiesa».
Come «leggere» l'ordinazione episcopale di Pechino? Per Cervellera «è il segno che forse, finalmente, si è aperto uno spiraglio di dialogo fra Santa Sede e governo cinese (o almeno una parte di esso)>>. Appare, inoltre, come «un segno di un indebolimento dell'Ap. L'organismo, nato mezzo secolo fa, controlla ormai meno della metà dei cattolici cinesi (5 milioni), mentre un'altra decina, stanca di controlli indebiti, vive la fede nelle comunità non riconosciute. E già l'85 per cento dell'episcopato ha chiesto perdono a Roma ed è tornato in comunione con il Santo Padre».
Spiega ancora Cervellera: «l'assiduo controllo su chiese, conventi, seminari, pubblicazioni, ordinazioni di vescovi, e la continua persecuzione delle comunità sotterranee, hanno contribuito a creare un'immagine negativa della Cina nel mondo. Per questo il governo, che vuoi mostrare il volto migliore del Paese per le Olimpiadi del 2008, ha necessità di concedere maggior libertà religiosa. In un contesto in cui la corruzione della società e del Partito è fonte di violente manifestazioni sociali, ma anche di una ricerca spasmodica di valori spirituali. Un'istanza colta da alcuni membri del governo, che auspicano una maggiore libertà religiosa».
Alla base della «svolta» nei rapporti tra Santa Sede e governo cinese, la Lettera del Papa ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, datata 27 maggio 2007, solennità di Pentecoste. Nella Lettera Benedetto XVI manifesta il suo amore e la sua vicinanza alla comunità cattolica che è in Cina. Dal documento emergono due atteggiamenti fondamentali: da una parte, un profondo affetto spirituale per tutti i cattolici in Cina e una cordiale stima per il popolo cinese. Dall'altra, un fervido richiamo ai perenni principi della tradizione cattolica e al Concilio Vaticano Il. Insomma, un appassionato invito alla carità, all'unità e alla verità. Il Papa ricorda il «disegno originario» che Cristo ha avuto della sua Chiesa e che ha affidato agli Apostoli e ai loro successori, i Vescovi e chiede ai cattolici "sotterranei" – non riconosciuti dal governo – e a quelli della Chiesa ufficiale di essere sempre più uniti nella testimonianza. Dopo aver preso in considerazione i problemi della vita della Chiesa in Cina negli ultimi 50 anni, si dice pienamente disponibile e aperto a un sereno e costruttivo dialogo con le Autorità civili per trovare soluzioni condivise riguardanti la comunità cattolica, e arrivare alla desiderata normalizzazione dei rapporti fra Santa Sede e Governo della Repubblica Popolare Cinese, nella certezza che i cattolici, con la libera professione della loro fede e una generosa testimonianza di vita, contribuiscono, come buoni cittadini, anche al bene del popolo cinese. Infine Ratzinger auspica che il 24 maggio, giorno dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani – venerata con devozione nel santuario mariano di Sheshan, a Shanghai – possa divenire occasione per i cattolici di tutto il mondo di unirsi in preghiera con la Chiesa che è in Cina. La diffusione di questa Lettera è fortemente ostacolata dalle autorità comuniste, che in alcune province tentano, attraverso sistemi da "lavaggio del cervello", di costringere i sacerdoti a riconoscersi colpevoli di averla pubblicata e distribuita tra i fedeli.
LA CHIESA IN CINA
3 i vescovi scomparsi di cui non si sa più nulla.
6 ora in cui, nelle grandi città, i cattolici vanno a Messa, prima di andare in fabbrica.
10 i vescovi agli arresti domiciliari.
18 età sotto la quale è proibito parlare di fede.
20 gli anni in cui sono stati chiusi seminari e conventi, fino alla riapertura negli anni Ottanta.
34-35 età media dei sacerdoti.
58 gli anni di persecuzione spietata.
70 i vescovi riconosciuti dal governo.
117 il numero dei vescovi.
450 le chiese cattoliche e protestanti, i templi buddhisti e taoisti abbattuti dal governo con i bulldozer, nella sola provincia dello Zhejiang, in un anno.
150 mila i battesimi di adulti l'anno.
5 milioni i cattolici che si riconoscono nella Chiesa ufficiale.
10 milioni i cattolici della Chiesa sotterranea, non riconosciuta dal governo.
IL TIMONE – N.67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 18-19