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22.12.2024

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Quale ‘stile’ per il cattolico?
31 Gennaio 2014

Quale ‘stile’ per il cattolico?

 

 

 


Con linguaggio fermo e preciso, il Santo padre si rivolge a tutti i vescovi lamentando di essere stato “attaccato” e di essere “trattato con odio” anche dentro la Chiesa. Accogliere e seguire il suo Magistero.




«Pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Questa frase evangelica mi viene spesso In mente quando incontro o ascolto le domande di molti fedeli cattolici. Non che il Pastore e i Pastori non ci siano, anzi, come ha scritto Cesare Cavalieri su Avvenire dell’1 marzo, il Papa viene ricordato da milioni di sacerdoti e centinaia di milioni di fedeli durante la celebrazione della Messa ed è circondato dal loro affetto, vivo e forte, almeno in Italia. Ma è il suo insegnamento che non penetra ancora nel corpo della Chiesa, almeno come sarebbe auspicabile, e forse soprattutto perché non viene recepito e trasmesso dai sacerdoti e dai vescovi con la forza e la frequenza che sarebbero necessarie.
La mia naturalmente è una percezione, peraltro condivisa da molti, che comunque andrebbe verificata con strumenti scientifici adeguati. Ma la sensazione è di vivere in un corpo, la Chiesa, dove i Pastori non riescono a raggiungere il gregge, ad aiutarlo a superare la confusione e i dubbi che circolano nella nostra epoca.
I motivi sono sicuramente numerosi e diversi. Innanzitutto, c’è chi rema contro, come si dice. Molti intellettuali, anche cattolici, hanno mal sopportato il dinamismo missionario di papa Giovanni Paolo Il e peggio ancora considerano il Magistero del regnante Pontefice che, oltre allo spirito missionario, cerca di “segnare” il pontificato con gesti visibili che possano lasciare un segno concreto. Da qui, per esempio, la reazione stizzita di fronte all’introduzione della possibilità di celebrare straordinariamente la messa utilizzando il messale del 1962, oppure la revoca della scomunica ai vescovi ordinati da mons. Marcel Lefebvre.
Ma questi sono soltanto gli ultimi episodi di un pontificato ricco di discorsi carichi di conseguenze importanti, come l’interpretazione del Vaticano II (2005), il discorso all’università di Ratisbona sul valore e l’importanza della filosofia greca e contrario alla de-ellenizzazione della fede cattolica (2006) e quelli nei viaggi in Usa e Francia, nel 2008, dove è stato dato un preciso giudizio sui diversi sistemi politici dei due Paesi e sulle rivoluzioni che li hanno generati. Inoltre, il Papa ha evidentemente scelto di mettere i principi non negoziabili al centro della pastorale della Chiesa, per cui laddove è possibile invita non solo a testimoniare la centralità della vita, della famiglia e della libertà di educazione, ma anche a operare perché le leggi degli Stati rispettino ed esaltino questi principi.

Una Chiesa “silenziosa” o “presente” nell’Italia di oggi?
Ai suddetti intellettuali questa Chiesa protagonista non piace. Proprio in questi mesi è stato ripubblicato un libro di Pietro Scoppola (1926-2007), La nuova cristianità perduta, che sostiene la tesi che il mondo contemporaneo è ormai irrimediabilmente dominato da un sistema di pensiero ostile al cristianesimo e a quest’ultimo non rimane che la testimonianza evangelica senza la pretesa e la speranza di poter ricostruire una cristianità (che non è una società per soli cristiani) nella quale la fede avrebbe potuto essere trasmessa più agevolmente. È una prospettiva che viene continuata da importanti intellettuali, come Alberto Melloni, e significativi uomini della Chiesa italiana, come il superiore della comunità di Bosè, il monaco Enzo Bianchi. Anche nei giorni “caldi” della vicenda di Eluana Englaro, essi hanno chiesto che i cattolici rimanessero in silenzio, auspicando una Chiesa che si limiti a predicare la Resurrezione e scagliandosi contro chi ha pubblicamente testimoniato e denunciato quanto accadeva alla povera Eluana. Naturalmente non mi permetto di giudicare le intenzioni, che penso nobilissime. Ma chiedo come sia possibile auspicare una etica condivisa scagliandosi con tanto furore contro chi, e sono soprattutto cattolici a farlo, cerca di difendere la legge naturale, o legge umana, dall’aggressione a cui è sottoposta. Perché di una cosa soltanto non ci si può non accorgere, ossia che in Italia, come nel resto dei Paesi occidentali, è in atto il tentativo di legalizzare l’eutanasia e il caso drammatico di Eluana Englaro è stato utilizzato allo scopo. Basta leggere il libro, molto esplicito, di Maurizio Mori, docente di bioetica a Torino e Presidente di un’associazione che raduna i membri del gruppo che ha affiancato Beppino Englaro dal 1995 nel tentativo, attraverso il caso Eluana, di introdurre il primo atto eutanasico legale nel nostro Paese, come purtroppo è avvenuto (Il caso di Eluana Engiara, Pendragon, 2009).
Naturalmente, ci possono essere legittime preoccupazioni in queste affermazioni, legate soprattutto al fatto che spesso, nella polemica, si possono usare toni e assumere atteggiamenti carichi di zelo amaro, dimenticando che la verità cristiana viene proposta per la salvezza delle persone concrete che vivono nella storia.
Capita di commettere questi errori e non è una bella testimonianza.
Ma la domanda è un’altra. Qual è l’atteggiamento che i cattolici, nell’Italia di oggi, è bene che assumano nella situazione culturale e politica in cui si trovano a vivere?

La risposta dei Papi
Chi ha più di 40 anni si ricorderà della polemica degli anni Settanta e Ottanta fra la “presenza” e la “scelta religiosa”, fra la Chiesa impegnata a far diventare cultura la fede e la Chiesa che sceglie la profezia senza preoccuparsi delle battaglie morali nell’ordine temporale.
Spesso questi diversi atteggiamenti esprimono legittime posizioni contrastanti, altre volte sconfinano in affermazioni che rifiutano l’insegnamento del Magistero.
Un conto è dire che il cristianesimo non è una religione civile e altro è affermare che non debba far nascere una cultura e costruire una civiltà. Un conto è sottolineare il significato profetico della Chiesa che non si deve legare ad alcuna forma di potere, altro è negare che l’organizzazione delle società e degli Stati secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa possa favorire l’accoglimento della fede da parte soprattutto delle persone più deboli.
Tuttavia, poi ciascuno di noi deve scegliere un atteggiamento e quello che sorprende è che spesso accade di constatare come, anche sacerdoti o intellettuali animati dalle migliori intenzioni, scelgano prescindendo dal Magistero del Papa. Nel caso concreto, non vengono sfiorati dall’idea di andare a leggere (rileggere?) quanto Benedetto XVI disse appunto a Verona, dove invitò i cattolici italiani a riprendere le parole di Giovanni Paolo II pronunciate nel 1985, a Loreto, per rafforzare «nella Chiesa italiana la fiducia di poter operare affinché la fede in Gesù Cristo continui ad offrire, anche agli uomini e alle donne del nostro tempo, il senso e l’orientamento dell’esistenza ed abbia così “un ruolo-guida e un’efficacia trainante” nel cammino della Nazione verso il suo futuro».
Certo, il Papa è cosciente dei rischi di una Chiesa che opera a viso aperto nella storia, andando incontro alla persecuzione oppure a una significativa affermazione storica. Egli conosce il senso ultimo del combattimento terreno e usa un’immagine tratta dal suo predecessore, che a sua volta si ispirava a santa Faustina e al suo insegnamento sulla divina misericordia: «Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma […] preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio».
Tuttavia, questa attenzione a non diventare mai una forza ideologica, una “parte” della società, a non dimenticare mai che lo scopo è la salvezza degli uomini che si incontrano, non la loro umiliazione, non impedisce al Papa di essere molto preciso circa il mandato affidato ai cattolici italiani: « […] occorre anche fronteggiare […] il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale».
Perché non rileggere (leggere?) le parole del Papa alla Chiesa italiana? .

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula magna dell’università di Regensburg, 12 settembre 2006.
Idem, Discorso ai partecipanti al IV Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, Verona, 19 ottobre 2006. Giovanni Paolo Il, Discorso alla Chiesa italiana, Loreto, 11 aprile 1985.

 

 


 

IL TIMONE N. 83 – ANNO XI – Maggio 2009 – pag. 58 – 59

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