Il mondo del porno pare presentare, di solito, due facce: quelle del denaro e del presunto successo di chi ne fa parte – produttori, attori e registi su tutti -, e quella della giusta condanna, che più volte ha trovato spazio anche sul nostro mensile, di un fenomeno che non soltanto mercifica il corpo umano, ma svilisce uomini e donne, veicolando una concezione totalmente distorta ed edonistica delle relazioni tra maschi e femmine, che tanto male fa alle giovani generazioni – e non solo a loro.
Oltre a questo, però, c’è un terzo lato della faccenda: è quello approfondito dal giornalista Matteo Carnieletto sulle colonne del Timone di febbraio, e cioè le esistenze tormentate delle stesse pornostar. A tale proposito, lo scorso ottobre le cronache sono state scosse da un fatto: il suicidio, a soli 23 anni, della russa Mia Split, giovanissima attrice a luci rosse. Ma la sua storia è la punta dell’iceberg: le esistenze stritolate da certo successo sono migliaia. Ed è arrivato di raccontare il fenomeno, affinché si capisca che non serve essere moralisti per condannare il porno. Perché è un fatto che l’abisso chiami abisso.
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