Nato l’11 dicembre 1918 a Kislovodsk, nella Russia caucasica sovietica, nel 1941 si laurea in Matematica e Fisica nell’Università di Rostov, seguendo per corrispondenza corsi di Filosofia, Storia e Letteratura dell’Università di Mosca. Nella Seconda guerra mondiale (1939-1945) è ufficiale decorato dell’esercito sovietico, ma il 9 febbraio 1945 viene arrestato nella Prussia orientale per avere criticato, in una lettera a un amico, il despota sovietico Iosif Vissarionovič Džugašvili (1878-1953) noto come “Stalin”, cioè “uomo d’acciaio”. Finito ai lavori forzati per otto anni, comincia un calvario che lo trasformerà del tutto.
Solženicyn ha fatto molto di più che una denuncia dei delitti del comunismo; se il suo discorso sul Gulag ha segnato l’epoca più degli oltre 400 lavori sui campi sovietici che erano già usciti fino a quel momento, è perché era mosso da un’intenzione assai più grandiosa della semplice accusa del regime totalitario: ha superato la dialettica ideologica per andare più in profondità. Non a caso proprio nell’Arcipelago Gulag, un’opera che è un’esplicita denuncia politica dell’ideologia, Solženicyn afferma a chiare lettere di volersi porre su un piano radicalmente diverso: «Chiuda pure il libro a questo punto il lettore che si aspetta di trovarvi una rivelazione politica. Se fosse così semplice! Se da una parte ci fossero uomini neri che tramano malignamente opere nere e bastasse distinguerli dagli altri e distruggerli! Ma la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno».
La grandezza di Solženicyn sta nel suo arrivare all’uomo; è andato alle radici del totalitarismo, dove non ci sono le strutture del potere ma l’anima e la sua libertà…
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