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21.12.2024

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Pellevoisin/3
31 Gennaio 2014

Pellevoisin/3

 

 

 

 

«Sono venuta per terminare la Festa»: sono, lo dicevamo la volta scorsa, le parole rivolte da Maria a Estelle Faguette, la veggente di Pellevoisin, nella tarda serata di lunedì, 3 luglio 1876.
Il giorno, cioè, in cui, con la consacrazione solenne durata ben tre giorni, a Lourdes era definitivamente terminata la “cappella” che la Vergine aveva chiesto “ai preti” di costruire, usando della mediazione di Bernadette.
Sarà bene entrare in qualche ragguaglio sul lavoro occorso a Massabielle, per capire almeno un poco la portata delle parole della Vergine a proposito della Festa finale, al termine della quale si presentò “tutta sorridente”, a conferma che aveva gradito l’obbedienza al suo invito. La costruzione di lu caperò – la cappella, nel dialetto della Bigorre, il bigourdan in cui la Signora parlava – aveva comportato problemi tecnici ardui da risolvere e una grande quantità di denaro. Tanto che mons. Laurence, il vescovo di Tarbes, aveva inviato una lettera aperta a tutti i confratelli di Francia – e, per mezzo loro, a tutti i cattolici – per una sottoscrizione nazionale.
Tra le ragioni umane che spiegano la rapida popolarità di Lourdes, sino a superare ogni altro santuario, c’è probabilmente anche questo coinvolgimento popolare: tutti parteciparono, dai più poveri sino ai più ricchi, dai più oscuri ai più illustri (persino la moglie dell’Imperatore, la devota spagnola Eugenia, donò pietre preziose perché fossero vendute), tanto che in poco tempo mancherà lo spazio per collocare le targhe con il nome dei benefattori. In ogni modo, in tutte le diocesi del Paese c’erano benefattori che sentivano anche “loro” quel santuario, che vi si recarono appena fu terminato, che ne parlarono nel loro ambiente.
Il solo luogo dove si poteva costruire era la sommità della grande roccia (la “massa vecchia”, Massabielle) sotto la quale si apriva la grotta di Massabielle, ma per ricavare una base in piano si dovette lavorare a lungo con l’esplosivo. Tra le “coincidenze” – se tali sono, ma forse non è così – c’è il fatto che la sola industria di Lourdes era costituita dallo sfruttamento delle cave di una pietra rinomata per le costruzioni. Così, il materiale per la “cappella” era a portata di mano e si poteva contare anche su una manodopera, di grande esperienza e tradizione, di cavatori e di scalpellini. Lo stesso padre di Bernadette, come sappiamo, dopo la rovina come mugnaio, aveva trovato lavoro in quelle cave e vi aveva perso un occhio a causa di una scheggia di pietra. Il santuario come oggi lo vediamo è davvero “di Lourdes”, anche nel senso che è stato eretto con il materiale tratto dalle viscere delle sue montagne e non è stato lavorato da forestieri, bensì dal suo popolo stesso. Forse, anche in questo vi è un motivo di riflessione.
Già che parliamo di questo, vale la pena di notare qualcosa che spesso sfugge: vista la topografia del luogo, non fu possibile rispettare l’orientamento tradizionale (e un tempo obbligatorio) per le chiese, soprattutto per i santuari. E, cioè il portale principale a Ovest e l’abside a Est, così che il sacerdote celebrasse volto verso Levante, da dove si alza il sole, simbolo del Cristo. La posizione della “cappella” sulla Grotta è rovesciate rispetto ai canoni tradizionali. Non fu possibile fare altrimenti perché la facciata andava necessariamente rivolta a Est, verso la città, cioè verso la strada da cui sarebbero giunti i pellegrini, mentre dal capo opposto vi era il deserto della prateria e della foresta. Così che, almeno in questo, sembra essere stata vantaggiosa la discussa riforma liturgica che ha seguito il Vaticano II: il rovesciamento degli altari ha rimediato al rovesciamento obbligato della chiesa, così che oggi, dall’altar maggiore, si celebra nella direzione voluta dalla Tradizione, rivolti verso il sorgere del sole.
Ma per quale enigmatica scelta divina la grotta di Massabielle apre il suo antro in pieno Nord? Sono, credo, domande legittime, in una prospettiva di fede: nulla può essere casuale in un evento come questo, “programmato” dal Cielo stesso.
Pur salvaguardando il mistero, la riflessione può offrire qualche spunto: quello, ad esempio, fornito dalla luce che – stando alla testimonianza di Bernadette – illuminava la nicchia prima che vi apparisse la Signora e che vi persisteva sino a quando non si congedava, quando si spegneva lentamente.
Il Nord è il buio e il freddo, simboli del peccato e della durezza della condizione umana: la Madre del Cristo illumina e riscalda, tanto che la veggente dirà non solo di vedere quella luce ma di non avvertire per nulla la temperatura rigida quando l’apparizione giungeva. Da subito, la cavità si riempì delle candele dei pellegrini e quella illuminazione non è mai più cessata, continua da oltre un secolo e mezzo.
Chi osservi la Grotta di notte, stando al di là del fiume, vede come un braciere che divampa ai piedi della grande roccia. Forse è per questo simbolismo che l’orientamento del luogo della visita fu “voluto” a Nord? È, ci pare, una ipotesi legittima, soprattutto per chi, studiando e riflettendo, conosca quanti “segni” siano nascosti dietro questi eventi.
Ma torniamo alla costruzione promossa senza esitazione dall’ottimo vescovo Laurence (fiancheggiato dall’anch’egli ottimo parroco, don Peyramale), già più che settuagenario, ma con energie moltiplicate dal dovere di rispondere alla richiesta dell’Immacolata: «Andate a dire ai preti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella». Già nel 1866, sullo spiazzo roccioso creato a suon di mine, si poteva inaugurare, con una prima messa, la cripta. Nel giorno dell’Assunta del 1871, si apriva la grande chiesa dell’Immacolata, seppure ancora un cantiere e priva della guglia che avrebbe superato i cento metri dal letto del Gave. Nel frattempo, il successore di mons. Laurence – morto a Roma durante il Concilio Vaticano I – monsignor César Victor Vidal, si era rivolto a Pio IX per ottenere l’ambìto titolo di “basilica minore”, le “maggiori” essendo solo le quattro romane: Lateranense, Santa Maria Maggiore, San Pietro e San Paolo. Il Papa che aveva voluto con tanta tenacia il dogma della Immacolata Concezione seguiva con commossa attenzione il cantiere di quella Lourdes dove la Vergine stessa aveva confermato la sua decisione di rompere gli indugi, dopo secoli di dibattiti accesi. Dunque, non ebbe certo bisogno di solleciti – anche perché, disse agli intimi, sentiva prossima la morte, che arriverà due anni dopo – e colse di sorpresa il vescovo di Tarbes con la concessione quasi immediata del titolo. Anzi, dispose sin da quel momento che, non potendo andare di persona, il Nunzio apostolico a Parigi avrebbe presenziato come suo legato personale.
Tanta solerzia fu ovviamente accolta con riconoscenza (quel titolo, sino ad allora, era stato riconosciuto soltanto a santuari antichi e illustri, magari decenni dopo la richiesta), ma portò qualche imbarazzo pratico a Lourdes, visto che i lavori non erano ancora del tutto terminati e che, per diventare “basilica minore”, occorreva – secondo il diritto canonico – una solenne consacrazione secondo l’antico rito. Fino ad allora, infatti, la chiesa e la sua cripta erano state benedette ma non consacrate. Si era all’inizio del 1876, il tempo stringeva, visto che si era deciso di procedere alla liturgia di consacrazione per il 2 luglio, festa della Visitazione, stando al calendario di allora, mentre ora è anticipata alla fine di maggio. Probabilmente, si scelse quella ricorrenza perché è proprio durante la visita ad Elisabetta che Maria intona il suo Magnificat che dice, tra l’altro: «Ha disperso i superbi nel segreto del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote». Quali parole evangeliche potevano meglio descrivere quanto avvenuto a Lourdes, con la scelta per messaggera celeste della povera, ignorante, insignificante, malaticcia figlia dei disprezzati Soubirous? Si decise di organizzare festeggiamenti davvero in grande: non si trattava, forse, dell’adempimento dell’incarico dato alla Chiesa dalla Vergine stessa? Aveva chiesto una cappella ed ecco che le si dava una grande basilica, costruita in uno stile neogotico (“ogivale” lo chiamano i francesi, che lo inventarono per le loro splendide cattedrali) che apparve poi discutibile ma che allora era considerato il meglio per l’architettura sacra. Assieme alla consacrazione si decise di provvedere all’incoronazione di due statue rappresentanti l’Immacolata: una sull’altar maggiore della nuova “basilica minore”, l’altra all’aperto, all’inizio di quella che divenne poi l’Esplanade per la benedizione ai malati e per la processione notturna con le fiaccole.
È, questa, la statua – sempre con il piedistallo coperto di fiori – che tutti i pellegrini conoscono perché è divenuto il luogo classico per la partenza dei cortei e per gli appuntamenti per gli amici. La statua che ora vediamo fu posta però l’anno dopo: vista la fretta, si era rimediato con un bozzetto da sostituire quando la scultura definitiva fosse pronta. Anche l’incoronazione era un privilegio concesso da Roma soltanto ad immagini “di risonanza universale”. Sta di fatto che – alla presenza, lo dicevamo la volta scorsa, del nunzio apostolico, del cardinale di Parigi, di 35 vescovi e arcivescovi giunti persino dalle Americhe, di 3.000 sacerdoti e di 200.000 pellegrini di tutta la Francia – la domenica 2 luglio 1876 si svolgeva una liturgia di oltre cinque ore per la consacrazione. Altre tre ore occorsero il giorno successivo per incoronare le due statue. La Festa era cominciata il sabato 1 luglio con l’adempimento, pure qui, dell’invito della Immacolata: i 200.000 pellegrini raggiunsero il santuario in processione.
Questo, dunque, il Triduo dal quale era reduce la Madonna quando si presentò, un po’ frettolosa, da quella sorta di “nuova Bernadette”. Non è straordinario (e non è singolare che non sia conosciuto) che Colei che aveva fatto la richiesta che sappiamo il 2 marzo del 1858 fosse poi presente al principio di luglio del 1876 a compiacersi dell’adempimento del suo desiderio? Questo mi sembra uno dei doni maggiori che vengono dagli eventi di Pellevoisin.

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Ancora a proposito di eventi e di coincidenze di luoghi e di date che il non credente qualifica come casuali, ma che una prospettiva di fede non giudica tali.
Per stare a Pellevoisin: qui, prima della guerra del 1914, pensando a un’imminente riconoscimento ufficiale delle apparizioni e, dunque, allo sviluppo del pellegrinaggio, fu costruito un imponente albergo, il Grand Hotel Notre Dame. Era da poco terminato quando giunse il conflitto che mise fine alla cosiddetta Belle Epoque. L’Europa – le cui elites di borghesia anticlericale e massonica avevano ripudiato il cristianesimo per passare a una nuova, sanguinaria religione, quella del nazionalismo, quella della Dea-Patria – l’Europa “illuminata”, dunque, certa di un progresso ininterrotto, si massacrò per quattro anni nella più mortifera guerra della storia. Trasformato in ospedale di guerra, al posto dei pacifici pellegrini, l’albergo di Pellevoisin ospitò i feriti provenienti dal fronte dove moriva o restava invalida la migliore gioventù del Continente. Quando giunse la precaria pace, l’hotel riaperse ma vivacchiò alla meglio, visto che l’afflusso dei devoti non era stato quello previsto. Nel settembre del 1939, ecco di nuovo la guerra, sempre nel nome delle ideologie postcristiane. La Germania, per evitare la guerra su due fronti che le era stata fatale poco più di vent’anni prima, si accordò con l’Unione Sovietica di Stalin e si disfece in pochi giorni della Polonia, non prendendo iniziative belliche sul versante della Francia. Neppure questa si mosse, aspettando al riparo della formidabile Ligne Maginot, considerata impenetrabile.
Mentre ancora durava questa drole de guerre, come la chiamavano, questa “strana guerra”, il 2 aprile del 1940 ricorse un anniversario: il centenario della nascita di Emile Zola. Proprio lui, lo scrittore positivista, profeta di una “religione dell’umanità e della scienza” che doveva sostituire la vecchia superstizione cristiana.
Lui che, con il suo Lourdes aveva dipinto Bernadette come “une paure idiote”, una “irregolare dell’isteria”, un’innocente ma da guardare con compassione, in quanto posseduta da un misticismo che l’aveva portata a scambiare delle allucinazioni per visioni mistiche. Il governo francese del 1940, nonostante la guerra, decise di solennizzare il Centenario dello scrittore e tutto il governo si trovò in quell’inizio di aprile ad ascoltare il Presidente della Repubblica, Albert Lebrun, che parlava davanti alla tomba di Zola. Tomba che era, ed è, al Pantheon parigino: ma questo, come ben sappiamo, era stato costruito come santuario della patrona di Parigi, santa Genoveffa – la cui festa liturgica ricorre l’11 febbraio! – e trasformato dalla rivoluzione in santuario delle glorie laiche della Patria.
Quel discorso del Presidente Lebrun, ovviamente massone, gonfio di retorica nazionalista e di miti della laicità alla francese, è considerato come il testamento della Terza Repubblica.
In effetti, giusto un mese dopo, i Tedeschi davano inizio al Blitz Krieg, alla “guerra lampo”, che in pochissimo tempo portava al tracollo completo non solo dell’esercito francese, considerato allora il più potente d’Europa, ma dell’intero Stato e delle sue istituzioni. I membri del governo disfatto in quel modo – governo composto da socialisti, comunisti, radicali – e gli uomini politici più in vista non furono fatti prigionieri dai tedeschi trionfanti, che li ignorarono sprezzanti – ma furono arrestati dal nuovo governo raggruppato attorno a Pétain, in vista di un processo per le responsabilità nella disfatta.
Dove rinchiuderli in attesa del giudizio? Qualcuno, non si sa chi e perché, fece presente che nel dipartimento dell’Indres, in una piccola località chiamata Pellevoisin, vi era un vasto albergo praticamente inutilizzato che poteva servire per la detenzione. Bastava far montare in gran fretta delle inferriate alle finestre e alzare dei cancelli di ferro alle porte, circondando poi l’edificio e il suo parco con filo spinato. Fu lì, dunque, al Grand Hotel Notre Dame di Pellevoisin, che andò a finire l’ultima casta politica della Terza Repubblica francese. Un regime che morì a 70 anni: «settanta sono gli anni dell’uomo», dice il salmo. Forse non a caso, anche l’Unione Sovietica si estinse poco dopo quell’età. La III Repubblica francese che finiva a Pellevoisin era stata fondata nel 1870 e altro non era che “il braccio secolare” della massoneria più anticlericale del mondo, quella che aveva contagiato con il suo odio per la Chiesa cattolica le Logge di tutte le nazioni latine. Quella che, scandalizzando i maestri inglesi, proprio in quegli anni aveva cancellato nei suoi statuti ogni riferimento al “Grande Architetto dell’Universo” e che aveva censurato le Costituzioni originarie del 1717 che vietavano l’accesso alla Massoneria agli stupid atheists come li chiama il documento originale. Questa III Repubblica ebbe al governo ex-religiosi come Emile Combes, ossessionati da una lotta al “clericalismo”, nel cui nome, tra l’altro, nel 1901, cacciarono dal santuario di Lourdes i Padri di Garaison che l’avevano costruito e gestito e, dichiarandolo bien national, lo consegnarono al Comune. Il quale, in realtà, tutto voleva tranne questa concessione, esecrata anche dal popolo: ma così avevano deciso i governanti parigini che ricevevano le direttive dalle Logge. Così, il vescovo di Tarbes fu costretto a prendere in affitto, come terreno privato, ciò che era suo e ottenendo, per benevola concessione del governo, di farvi entrare i pellegrini, mascherando tutto ciò come “servizio di pubblica utilità”. Ciò che avveniva a Lourdes avveniva con il sequestro di conventi e chiese e la chiusura di tutte le scuole cattoliche.
Ebbene, proprio questo regime che aveva confiscato (ovviamente senza alcun cenno a un indennizzo) i santuari sul Gave e che aveva pronunciato il suo testamento politico esaltando Zola, il diffamatore di Lourdes, proprio questo governo finì i suoi giorni politici all’Hotel Notre Dame di Pellevosin, costruito a servizio di un’apparizione mariana che confermava quella di Lourdes! Quei signori furono poi tolti da Pellevoisin e processati dai tribunali del maresciallo Pétain il quale, cattolico praticante, annullò la legge di sequestro e, nell’aprile del 1941, ridiede i santuari di Lourdes al legittimo proprietario, il vescovo, venendo egli stesso in pellegrinaggio per consegnare il documento di restituzione. Un atto di giustizia che nemmeno De Grulle osò annullare e, così, la proprietà restò alla Chiesa anche dopo la guerra: una eccezione significativa, visto che le “grand Charles”, come lo chiamavano i suoi ammiratori, aveva per programma di disfare tutto ciò che aveva fatto il suo collega Maresciallo di Francia, Philippe Pétain. Tutto fu annullato, tutto. Ma non il decreto che contrastava l’odio anticattolico della Repubblica massonica.

 

 


IL TIMONE N. 90 – ANNO XII – Febbraio 2010 – pag. 64 – 66

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