Sui valori non negoziabili si moltiplicano gli attacchi internazionali contro la Chiesa, ma la politica è anche illuminata dalle recenti testimonianze di uomini politici. Su tutti l'esempio del Granduca Enrico del Lussemburgo, che si è giocato la Corona per impedire la legalizzazione dell'eutanasia.
Non hanno neanche aspettato che scadesse ufficialmente il mandato del presidente americano George Bush per cominciare il tiro al piccione contro la Santa Sede. Stiamo parlando della potente lobby contro la vita che – rincuorata dall'uscita di scena di quello che sui temi della vita e della famiglia è stato il maggiore alleato della Santa Sede all'ONU, e dall'arrivo dell'«amico» Obama – ha lanciato subito un'offensiva internazionale per screditare la Chiesa. Pretesto è stata la risoluzione proposta dalla Francia sull'identità di genere e sugli orientamenti sessuali che contiene tra l'altro la richiesta di depenalizzare l'omosessualità nei Paesi in cui è ancora reato. La Santa Sede ha giustamente criticato il testo proposto non per la questione della depenalizzazione, ma perché tutta la risoluzione usa un linguaggio che tende a sostituire il concetto di sesso – maschio e femmina, che viene dalla natura – con il concetto di genere, che è invece un prodotto culturale e che può dare vita a una serie di orientamenti sessuali tutti considerati perfettamente legittimi ed equivalenti. Il risultato lo abbiamo visto sui giornali e sulle tv: si è scatenata una violenta campagna pubblica accusando la Chiesa di volere la condanna a morte degli omosessuali e altre assurdità del genere. Che l'obiettivo di tutta la campagna fin dall'inizio fosse la Chiesa, è evidenziato anche dal fatto che neanche una protesta o una semplice notazione polemica si è levata contro quella qualche decina di paesi (perlopiù islamici) in cui l'omosessualità è un reato o è addirittura punita con la morte.
Ciò che della Chiesa è intollerabile è la proclamazione dei valori non negoziabili – vita, famiglia, libertà di educazione – che si traduce in azioni «politiche» nelle sedi internazionali. Come abbiamo avuto modo di scrivere nei mesi scorsi, a livello internazionale – con il cambiamento di amministrazione USA – l'azione della Santa Sede si farà più difficile, ma inaspettatamente sono recentemente fiorite delle testimonianze personali che danno speranza per il futuro della cultura della vita.
Un caso clamoroso si è verificato in Uruguay, dove il presidente socialista Tabaré Vázquez il 15 novembre ha posto il proprio veto alla legge di depenalizzazione dell'aborto, approvata dal Parlamento. La «Legge sulla Salute sessuale e riproduttiva» avrebbe permesso alle donne di abortire liberamente nelle prime 12 settimane di gravidanza e sarebbe stata la più liberale dell'America Latina. Lo stop alla legge quindi ha un'importanza che va ben oltre i confini dell'Uruguay. Il veto ha avuto successo anche perché la maggioranza di sinistra non è riuscita ad avere in Parlamento i tre quinti dei voti necessari per poter ri-approvare una legge bocciata dal presidente. La decisione di Vázquez – che ha agito da laico e per questo il suo gesto è anche più significativo – ha aperto una crisi politica senza precedenti tra il Frente Amplio, la coalizione di sinistra che detiene la maggioranza parlamentare, e il presidente della Repubblica, che pure ne fa parte. L'epilogo sono state le dimissioni di Vázquez dal partito, ma non da sconfitto: lo stesso Vázquez è partito al contrattacco, con una serie di misure di sostegno economico alle famiglie più disagiate per aiutare ad accogliere la vita nascente.
Un caso ancora più clamoroso si sta verificando in questi mesi proprio nel cuore dell'Europa, dove il granduca del Lussemburgo, Enrico di Nassau-Wellburg, lo scorso 10 dicembre ha annunciato di non voler firmare un'eventuale legge di autorizzazione dell'eutanasia. Intenzione poi messa in atto il successivo 12 dicembre all'indomani del voto del Parlamento del Lussemburgo, che approvava la legge di depenalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito.
Il gesto del granduca Enrico ha immediatamente fatto tornare alla mente il caso dello zio dello stesso Enrico, il re Baldovino del Belgio, che nel 1990, per non ratificare la legge sull'aborto approvata dalle Camere, con un artificio legale si autosospese per 48 ore. Il governo riconobbe che il monarca "non era in grado di adempiere temporaneamente ai suoi compiti": la legge venne approvata in quelle 48 ore e il re tornò sul trono come se nulla fosse successo. Ma il caso del Lussemburgo è decisamente diverso, perché il 50enne Granduca Enrico – conosciuto come uomo di grande fede così come sua moglie Maria Teresa, con cui ha cresciuto cinque figli non ha avuto timore di andare a uno scontro istituzionale senza precedenti. AI punto che il premier del Lussemburgo, il cristiano-sociale Jean Claude Juncker, ha proposto e fatto approvare in Parlamento una legge che toglie al Granduca ogni potere di ratifica delle leggi: «Poiché vogliamo evitare una crisi costituzionale e allo stesso tempo rispettiamo le opinioni del granduca – ha detto farisaicamente Juncker – sostituiremo il termine "approvare" dell'articolo 34 della Costituzione con il termine "promulgare"». L'emendamento costituzionale aveva bisogno dei 3/5 dei voti dei deputati per poter essere approvato e l'obiettivo è stato raggiunto grazie ai voti dei democristiani lussemburghesi che pure avevano votato contro la legge sull'eutanasia. Si tratta dunque di un vero e proprio colpo di Stato costituzionale, il cui significato va ben oltre la legge sull'eutanasia.
Guardando ai protagonisti della vicenda si può infatti affermare che siamo davanti allo scontro tra due concezioni del cristianesimo. Da una parte il Granduca e la certezza che i valori non negoziabili non sono un problema religioso, ma di fondamento di una qualsiasi civiltà, al punto da essere disposto a perdere la Corona; dall'altra la fede ridotta a puro fatto privato. Juncker ha infatti detto che personalmente egli è contrario all'eutanasia, ma come capo di governo deve tenere conto di tutte le opinioni e soprattutto della maggioranza. Un discorso sentito tante volte, anche in Italia, per giustificare quella che molto più semplicemente possiamo definire una svendita dei propri principi in cambio del mantenimento del potere.
Si potrebbe obiettare: ma è giusto sacrificare la pace sociale di un'intera nazione, farla precipitare in una crisi istituzionale dagli sbocchi imprevedibili, in nome di un valore pure molto importante quale è quello della vita? La risposta è: sì, se si ha la consapevolezza che un paese che legalizza l'omicidio di Stato per i suoi cittadini più deboli e indifesi è già un paese in guerra, un paese destinato a essere inghiottito dalla storia. In questo caso, anche una grave crisi istituzionale potrebbe essere provvidenziale se servisse a risvegliare le coscienze di un popolo.
Per questo il gesto del Granduca Enrico che peraltro ha mantenuto un regale e dignitoso silenzio durante tutta la vicenda, facendo parlare i fatti – ha suscitato una grande ammirazione tra i tanti cristiani europei bisognosi di una vera testimonianza di fede in politica, al punto che da tante associazioni di tutta Europa sono partite campagne di supporto e di solidarietà al Granduca. Per il suo valore di sintesi vale la pena citare l'intervento del vescovo di San Marino-Montefeltro, monsignor Luigi Negri, che ha pubblicamente espresso «grata ammirazione al Granduca Enrico del Lussemburgo per la grande testimonianza di fede cristiana che ha offerto alla Chiesa e all'intera società (.. .). È una grande testimonianza di cui ha bisogno il mondo intero in un momento in cui, proprio sulle grandi questioni della vita, dal suo inizio alla sua fine, il laicismo anticristiano sta combattendo un'ultima, diabolica battaglia».
RICORDA
«I responsabili politici, di cui il grave dovere è quello di servire il bene comune, così come tutti i medici e le famiglie devono ricordarsi che la decisione deliberata di privare un essere umano Innocente della sua vita è sempre malvagia dal punto di vista morale e non può mai essere lecita»
(Benedetto XVI, ricevendo le credenziali del nuovo ambasciatore del Lussemburgo presso la Santa Sede, Paul Duhr, 18 dicembre 2008).
IL TIMONE N. 79 – ANNO XI – Gennaio 2009 – pag. 18-19