Rapito, il suo ultimo film sul cosiddetto caso Mortara, è stato da più parti – giustamente – segnalato come un’opera partigiana, che ha sacrificato la ricostruzione storica sull’altare della narrazione faziosa e di parte. Eppure non si può certo dire che Marco Bellocchio – regista amatissimo nei salotti radical chic nostrani anche televisivi – abbia fatto capire solo oggi quale sia il suo orientamento ideologico, anzi. Tutta la sua carriera appare infatti segnata da posizioni precise.
Firmando la rubrica Matita Blu del numero estivo del Timone, Mario Arturo Iannaccone racconta e sviscera il Bellocchio delle origini, quello che esordì sulla scena artistica quasi sessant’anni fa, mettendo in luce come la fatica ultima sul caso Mortara, in fondo, sia solo la punta dell’iceberg. Dalla lotta alla famiglia alla difesa di aborto ed eutanasia, dalle strizzate d’occhio all’estremismo rosso alle lodi alla stregoneria, l’opera del cineasta è stata infatti tutta un programma.
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