Tocca ai laici occuparsi della cose del mondo, per trasformarlo secondo il Vangelo e la dottrina sociale del Magistero. Con la preghiera e l’apostolato. E con una adeguata formazione.
Laico, laicità, laicismo, i “laici” contro i clericali; la confusione non è poca e non comincia ieri, ma accompagna la storia moderna d’Italia e d’Europa. Per di più aumenta quando la classe intellettuale egemone percepisce che l’aborrito e supposto “clericalismo” sopravvive, che esistono cattolici che pregano e operano per la conversione degli altri e che vi sono religiosi che si ritirano dal mondo per salvarlo. Non dobbiamo sorprenderci, perché queste reazioni sono il logico frutto di un insegnamento plurisecolare che ha cercato di ridurre la fede ad affare privato, rifiutando il fatto che possa generare un modo di vivere e di pensare, una cultura capace di giudicare la storia. E neppure deve sorprendere la confusione che serpeggia nel mondo cattolico, dove molti non hanno ancora letto i documenti del Concilio Vaticano II sul laicato e sulla sua funzione apostolica di animazione cristiana dell’ordine temporale, e così continuano a pensare che la santificazione del laico passi soltanto attraverso le letture domenicali durante la celebrazione della Messa, oppure attraverso benemerite opere di volontariato rigorosamente anonime.
Proviamo a chiarire un poco. Religioso è colui che percorre il proprio “ritorno a Dio” attraverso la pratica dei consigli evangelici di castità, obbedienza e povertà vissuti nell’ambito di una regola proposta da un ordine religioso. Il laico invece vive i consigli evangelici cercando di incarnarli nella condizione di chi ritorna al Padre occupandosi delle “cose del mondo”, per trasformare quest’ultimo secondo lo spirito del Vangelo e secondo la dottrina sociale insegnata dal Magistero della Chiesa. Ma entrambi, il religioso e il laico, sono battezzati e cresimati, tenuti a mettere in pratica il Decalogo e, in quanto incorporati a Cristo, chiamati a essere suoi testimoni e missionari nel mondo. Un mondo che comincia dalle mura dome-stiche, dai compagni di scuola o dai colleghi di lavoro, da tutti coloro che hanno diritto di poter conoscere la proposta cristiana che sempre meno viene proposta nella sua integralità.
Ha scritto pagine molto belle sul punto Hans Urs von Balthasar nel suo Gli stati di vita del cristiano per ricordare che “la Chiesa tutta è missionaria”.
Tuttavia, il riconoscimento del laico come figura attiva e non solo passiva nella vita della Chiesa comporta un rovescio di medaglia da non dimenticare. La prospettiva clericale prevedeva che il laico si occupasse delle cose profane (senza la preoccupazione di offrirle a Cristo trasformandole secondo lo spirito del Vangelo), mentre le “cose di chiesa” erano di assoluta competenza dei sacerdoti secolari, che non sono religiosi, e di questi ultimi. Soltanto con la nascita dei movimenti cattolici, dopo la Rivoluzione francese, quando avviene quella “separazione ostile” fra la Chiesa e gli Stati che porta alla scristianizzazione della vita pubblica, i laici cattolici, non più riconosciuti nelle strutture della società e dello Stato, cominciano ad assumere un ruolo rappresentativo nella vita interna delle comunità cristiane.
Quello che si stenta a comprendere è che il laico deve fare il laico, cioè deve rispondere alla sua vocazione soprattutto trasformando il mondo secondo lo spirito del Vangelo. Invece spesso assistiamo alla clericalizzazione del laicato e alla laicizzazione del clero, come ha denunciato Giovanni Paolo II, dimenticando il punto fondamentale della Lumen gentium che “l’indole secolare è propria e peculiare dei laici” (n. 31). Ma, come dicevo, questo ha come rovescio di medaglia il fatto che il laico deve assumersi tutte le sue responsabilità e cessare di ritenersi chiamato a una santità minore rispetto al sacerdote o al religioso. Lo scrive espressamente sempre la Lumen gentium (n. 32) ricordando che tutti sono chiamati alla santità, pur percorrendo strade diverse. A questo punto, normalmente e giustamente, viene posta la domanda: che cosa devo fare? Fecero altrettanto gli apostoli e Gesù rispose mandando loro lo Spirito Santo, che avrebbe spiegato ogni cosa.
Nella preghiera ciascuno capirà cosa Dio vuole da lui. Ma c’è comunque una sorta di “prova del nove” per valutare il nostro spirito missionario: cosa chiediamo quando preghiamo? Chiediamo soltanto grazie, favori, protezioni personali o materiali, oppure abbiamo nel cuore i bisogni del Papa, della Chiesa, della nostra patria, dell’associazione o del movimento o della parrocchia a cui apparteniamo? Se sì, vuoi dire che la nuova evangelizzazione è ripartita nel nostro cuore e allora non potremo tacere perché saremo già diventati missionari. Allora, comincerà una semina che darà frutti, anche se non necessariamente verranno raccolti da chi ha seminato. L’unica cosa che dovremo aggiungere sarà una formazione adeguata a quanto ci viene richiesto, per essere all’altezza de! compito missionario. Servirà allora una nuova apologetica, di cui Il Timone vuole essere strumento.
BIBLIOGRAFIA
I documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sul laicato sono soprattutto il cap. IV della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e il decreto Apostolicam actuositatem sul l’apostolato dei laici. Il riferimento del Magistero più recente è l’esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II Chirstifideles laici su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo del 30 dicembre 1988.
Il libro di Hans Urs von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, è pubblicato da Jaca Book, Milano 1985
IL TIMONE N. 13 – ANNO III – Maggio/Giugno 2001 – pag. 54-55