Come contro papa Pio XII
Se così fosse, il dialogo e il rapporto con il mondo ebraico c’entrano poco o niente.
Tutti sanno e possono verificare quanto papa Benedetto XVI ha fatto e detto per coltivare questo dialogo, sia con i suoi interventi teologici sia con l’insegnamento da Pontefice, tanto che il rapporto fra Israele e la Nuova Alleanza forse mai nella storia della Chiesa ha avuto tanta attenzione, non soltanto da parte di teologi o di scuole teologiche, ma da parte dello stesso Magistero.
Sembra così ripetersi quanto accaduto a papa Pio XII, osannato fino al 1963 anche da figure significative del mondo ebraico per aver salvato decine di migliaia di ebrei, poi improvvisamente diventato l’oggetto di una odiosa campagna mediatica internazionale che dura tuttora e che vorrebbe impedirne la canonizzazione.
È stato giustamente fatto notare come gli attacchi contro Pio XII avevano poco a che fare con il motivo avanzato (cioè il silenzio di fronte alla persecuzione degli ebrei), anche perché probabilmente fu proprio grazie a questo supposto silenzio (che tale non fu in senso proprio) che il Papa poté salvare così tanti ebrei, soprattutto a Roma, durante l’occupazione nazionalsocialista. Si volle fargli pagare il suo “ostinato” anticomunismo e venne utilizzato allo scopo un tema per il quale era stato indicato come un modello da parte di importanti rappresentanti di Israele.
Così accade oggi. Dichiarazioni vecchie di tre mesi scatenano un putiferio. Si fa di ogni erba un fascio, come per esempio il prof. Carlo Galli sempre su la Repubblica del 29 gennaio, dove con un corto circuito mette insieme i controrivoluzionari, gli intransigenti del XIX secolo, i tradizionalisti di oggi, tutti responsabili di essere ostili alla modernità, addirittura colpevoli di «insensibilità verso la fraternità universale e verso il dovere di testimoniare la verità davanti all’intero consesso umano». Peccato si dimentichi che l’ideologia responsabile delle camere a gas sia uno dei prodotti esemplari della modernità, o meglio di una certa modernità.
C’è qualcosa che non torna dunque in tutto questo clamore, ma il lettore non pensi a improbabili complotti, piuttosto a una ostilità diffusa, dentro e fuori la Chiesa cattolica, che cerca appena possibile di colpirne la credibilità, in particolare attaccando il vicario di Cristo.
La posta in gioco è più alta di quanto l’emotività esasperata dai media ha lasciato intravedere. E l’Olocausto, una grande infamia prodotta da una delle ideologie della modernità, è estraneo a questa vicenda, anche se viene utilizzato. La vera posta in gioco è il Papa con il suo Magistero, che qualcuno, screditandolo anche indirettamente, vuole rendere in influente nella Chiesa e di conseguenza nel mondo. E in particolare mi sembra di poter dire che l’oggetto dell’attacco riguarda l’interpretazione del Concilio Vaticano Il, ripetutamente sostenuta prima dal cardo Ratzinger e poi durante il pontificato. Interpretazione che ricorda come si debba essere fedeli al Concilio espresso dai suoi documenti, che non sono il frutto di «compromessi penosi» voluti dai padri conciliari e avvallati da papa Paolo VI – come vuole l’interpretazione del Concilio come rottura con la Chiesa precedente ancora recentemente ribadita da Giuseppe Ruggieri e Alberto Melloni (Chi ha paura del Vaticano II?, Carocci, 2009, p. 11) – ma neppure un Concilio che non impegnerebbe i fedeli in quanto pastorale, come si sente dire spesso in certi ambienti “tradizionalisti”. Esso è l’ultimo Concilio della storia della Chiesa, espressione del Magistero ordinario e universale, che è infallibile quando tratta di questioni di fede e di morale, come scriveva il cardo Ratzinger: «Questo Magistero ordinario è così la forma normale dell’infallibilità ecclesiastica, e si tenga conto che si tratta di una infallibilità collegiale (e non monarchica)» (Il nuovo popolo di Dio, Queriniana 1992, p. 180) e come ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il successore di Pietro, e, in modo speciale, al vescovo di Roma, pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in “maniera definitiva”, propongono, nell’esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono “aderire col religioso ossequio dello spirito” [Conc. Ecum.Vat. II, Lumen gentium, 25] che, pur distinguendosi dall’ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento» (n. 892).
IL TIMONE N. 81 – ANNO XI – Marzo 2009 – pag. 56 – 57
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