La tragica fine di Eluana è stata resa possibile dall'attenta regia di un "partito" trasversale formato da uomini delle istituzioni, giudici e giornalisti che ha impedito l'azione delle uniche realtà rappresentative del popolo: Parlamento e governo. Ma la morte non è comunque l'ultima parola…
«Siete venuti a prendermi come contro un brigante, con spade e bastoni. Ogni giorno ero In mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato» (Mc 14,48-49). L'epilogo della vicenda di Eluana fa tornare alla mente l'episodio dell'arresto di Gesù. Chi non è rimasto colpito dalle modalità in cui è stata trasferita dalla clinica di Lecco, dove era amorevolmente accudita, alla clinica di Udine dove è stata messa a morte? Sono andati a prenderla di notte, scortati dai carabinieri, quando per 15 anni è stata lì, immobile, inerme, circondata da suorine che sicuramente non avrebbero alzato la spada. Ma il principe delle tenebre agisce nella notte, solo nell'oscurità le sue azioni possono sembrare ragionevoli.
Anche nel caso di Eluana c'era stato un sinedrio che l'aveva già condannata a morte e che si è servito della folla (l'uso di giornali e tv) e dei Ponzio Pilato nascosti nella politica e nella magistratura per portare a termine il disegno. Non sono mancati neanche i «falsi testimoni», che l'hanno descritta in terribili condizioni (ricordate ad esempio la storia dei 35 chili di peso, circostanza poi smentita dall'autopsia i cui risultati parlano di 52 chili?). E a nulla sono valsi i tentativi in extremis per salvarle la vita: gli stessi «sacerdoti» hanno vigilato direttamente sull'esecuzione della sentenza, che però hanno voluto che fosse in nome dello Stato, esattamente come accadde 2mila anni fa.
Insomma, la storia si ripete anche nelle forme e non è certo la prima volta, perché in fondo dal giorno dell'Incarnazione tutta la storia degli uomini si gioca in questa lotta tra la luce e le tenebre: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1, 4-5).
Del resto se un risvolto positivo il caso di Eluana ha avuto è proprio quello di aver fatto emergere con chiarezza l'esistenza di un vero e proprio "squadrone della morte", un partito trasversale che tiene insieme giudici, politici, giornalisti, che nell'occasione ha impedito l'azione delle uniche istituzioni elette dal popolo, il Parlamento e il governo. È stato infatti impressionante vedere come la determinata volontà del governo (prima con la direttiva del ministro Sacconi, poi con il tentativo di decreto legge) e del Parlamento (con il disegno di legge la cui approvazione era già prevista in tempi brevissimi) si sia infranta contro un muro eretto attorno ad Eluana da un reticolo di rapporti e complicità che definire casuali sarebbe quantomeno ingenuo.
Come ingenuo sarebbe scaricare la maggior parte della responsabilità sui soliti esponenti del Partito Radicale: è vero, per anni loro hanno sostenuto in tutti i modi Beppino Englaro in modo di fare di Eluana la bandiera per l'introduzione dell'eutanasia in Italia, ma non avrebbero potuto raggiungere l'obiettivo senza interventi di ben più alto livello.
Come dimenticare, ad esempio, che quando il salvataggio di Eluana sembrava a portata di mano grazie al pronto decreto legge del governo, è stata decisiva la non-firma del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? Il quale presidente non si è semplicemente rifiutato di firmare, malgrado i requisiti di "urgenza e necessità" previsti dall'articolo 77 della Costituzione fossero più che evidenti, ma addirittura ha inviato una lettera nel bel mezzo del Consiglio dei ministri per invitare a non fare il decreto. Un'intromissione senza precedenti, un colpo di mano istituzionale: si è temporaneamente passati da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. È stato uno strappo evidente anche allo "stile presidenziale" di Napolitano, finora improntato alla neutralità. Evidentemente la posta in gioco doveva essere molto importante.
Tanti altri, comunque, erano nella posizione e nella condizione di intervenire, e non l'hanno fatto. A cominciare dal presidente della Regione Friuli, Renzo Tondo, che pur essendo della stessa parte politica del governo, ha ubbidito ad altre direttive. Nel ricostruire la parte friulana della vicenda, la stampa locale ha ad esempio parlato di una cena decisiva per stabilire la strategia di morte, a cui Tondo era presente. Con lui c'era ovviamente il sindaco di Udine Furio Honsell, l'uomo che si è fatto in quattro per trovare la clinica giusta, dopo che la direttiva del ministro Sacconi aveva fatto desistere la clinica "Città di Udine". E c'era la misteriosa figura di Daniele Renzulli, descritto come socialista d'antica data, un vero potente locale, considerato il protagonista occulto della vicenda.
Non è intervenuto neanche il Procuratore di Udine, malgrado gli esposti a lui presentati con le testimonianze raccolte delle compagne di scuola e degli insegnanti, che dichiaravano di non aver mai sentito Eluana parlare di morte e stati vegetativi. Circostanze che a qualsiasi magistrato avrebbero suggerito di sospendere il protocollo di morte in attesa di appurare la verità (tanto a fare morire Eluana si era sempre in tempo), e che invece sono state bellamente ignorate, grazie anche al pesante intervento del Procuratore Generale di Trieste, Beniamino Deidda (superiore del procuratore di Udine), che con le sue uscite e i suoi veti ha garantito che l'attuazione del "protocollo" non si fermasse e che l'accelerazione della morte di Eluana restasse impunita.
Che dire poi del balletto di ispezioni, indagini, richieste di informazioni che hanno accompagnato l'ultima settimana di Eluana passata nella clinica "La Quiete" di Udine? Di ora in ora suscitavano speranze in chi lottava per la vita e invece, a conti fatti, si sono rivelate soltanto un preordinato macabro balletto allo scopo di alzare una cortina di fumo mentre la sentenza di morte veniva freddamente eseguita. Tra le grida di giubilo della Grande Informazione, dalle cui fila peraltro provengono i principali «falsi testimoni» che hanno confuso l'opinione pubblica.
Perché abbiamo detto all'inizio che l'emergere con chiarezza di questo "squadrone della morte" è un risvolto positivo della vicenda Eluana? Perché nel farci comprendere meglio cosa c'è in ballo oggi nella società italiana, ci spinge a prendere maggiormente sul serio anche la nostra vita. L'incapacità di tanti di noi nel dare un vero valore alla vita di chi è malato, incapace, improduttivo nasce dall'incapacità di dare un senso pieno alla nostra, di vita. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno – personalmente ma anche a livello di società – è proprio quel legame con Cristo che solo ci permette di superare il sospetto che la vita sia un fallimento. Da qui nasce anche la certezza che la vittoria della morte è solo apparente, anche se dovesse passare una legge che autorizza l'eutanasia. Alla quale, in ogni caso, ci opporremo con tutte le forze.
IL TIMONE N. 81 – ANNO XI – Marzo 2009 – pag. 12 – 13