BEIRUT – Sull’aereo di linea, prima ancora di atterrare di notte, sulla pista del Rafiq Hariri, l’impatto con Beirut è spettrale. La città è letteralmente immersa nel buio. Da mesi manca l’elettricità, e col fuso orario, alle 17 già tramonta il sole.
I più fortunati riescono a compensare questo deficit energetico con i generatori, di questi tempi il miglior business in terra libanese, anche se il consumo viene misurato col contagiri. Così come i chilometri percorsi in macchina, ora che manca persino la benzina. Beirut è irriconoscibile per chi l’ha frequentata negli anni precedenti al tracollo, dopo anni di relativa stabilità politica e prosperità economica. È nel biennio 2013/2014 infatti che inizia la discesa agli inferi.
Prima la crisi di rifugiati, due milioni di profughi siriani su una popolazione di sei milioni di abitanti, poi la “guerra difensiva” di Hezbollah in terra siriana, per arginare qualsiasi ipotesi di avanzata dei miliziani di Jabhat Al Nusra, ramo siriano di Al Qaeda impegnato in quegli anni oltre frontiera, infine l’indebitamento dello Stato e la progressiva implosione del sistema finanziario culminato nel marzo del 2020 con il default…
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