Uno spettro s’aggira per l’Occidente: è quello dei detransitioners, i «trans pentiti», quanti cioè dopo aver iniziato – e spesso completato – il cosiddetto iter di riassegnazione sessuale decidono, cambiando idea, il ritorno alla loro identità originale. Le loro storie finiscono insomma con il fare a pezzi il mito Lgbt del «cambio di sesso», e anche per questo fior di Paesi hanno iniziato a guardare a questo processo di transizione con molta più prudenza. Il fatto è che i detransitioner sono terribilmente scomodi per una cultura dominante che, si sa, sposa a piene mani l’agenda arcobaleno.
Ne sa qualcosa Walt Heyer, che ha fatto la sua detransizione nel lontano 1991 e che proprio per questo ne è un pioniere: Raffaella Frullone l’ha intervistato in apertura del primo piano del Timone di aprile. Che continua con un’altra intervista esclusiva: quella, fatta da Federica Di Vito, ad Hannah Barnes, la giornalista della Bbc che ha scritto l’importante libro – che ben 22 editori le avevano rifiutato, tanto è esplosivo – sul caso che ha travolto il Tavistock’s Gender Service di Londra, che fino alla scorsa estate, quando il governo ne ha ordinato la chiusura, era un riferimento internazionale per il «cambio di sesso» dei minori.
Un processo, quest’ultimo, realizzato con la somministrazione ai ragazzi di bloccanti della pubertà dalla quale – sentita da Raffaella Frullone – Maura Massimino, direttore dell’oncologia pediatrica all’Istituto dei tumori di Milano, mette esplicitamente in guardia, evidenziandone i rischi e gli effetti purtroppo irreversibili. Nel primo piano del Timone di aprile anche un articolo di Giuliano Guzzo, che racconta come perfino all’interno dell’insospettabile stampa liberal e progressista sia in atto un serio ripensamento sui trattamenti a cui avviare i baby transgender, il cui aumento esponenziale appare sempre più sconcertante ma al tempo stesso anche sospetto.
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