Nulla, specie adesso, appare più distante di due città come Milano e Kiev: la prima, capitale economica d’Italia, sa di crescita e di dinamismo; la seconda, al centro della guerra iniziata il 24 febbraio, è cinta da macerie e rovine. Eppure, un filo rosso unisce le due metropoli: la barbarie dell’utero in affitto. Sì, perché sabato 21 e domenica 22 maggio a Milano era in programma “Un sogno chiamato bebè”, fiera dell’utero in affitto che ha già fatto tappa in vari Paesi europei inclusa la Francia, dove si è tenuta mesi fa, a Parigi, col nome di “Désir d’enfant”.
Un evento del quale erano già pronti i vademecum per i partecipanti – con «condizioni di ammissione» contenenti eloquenti divieti di foto e di registrazioni -, ma che, a fine aprile, gli organizzatori hanno sospeso «a causa di circostanze al di fuori del nostro controllo» e rinviato al 2023. Forse anche a causa della guerra in Ucraina, che della maternità surrogata è un florido mercato? Un dubbio lecito, dato che di tale pratica davvero Kiev può essere ritenuta la capitale.
Se l’Ucraina si è ritagliata un ruolo di primo piano nel mercato internazionale della maternità surrogata, su questi temi il clima nell’Unione europea non appare molto più confortante. Come infatti rivela, intervistata dal Timone, l’europarlamentare Simona Baldassarre – che sull’utero in affitto ha scritto un accurato libro-inchiesta – a Bruxelles le manovre per uno sdoganamento della pratica si fanno sempre più chiare; e denunciarle è fondamentale per fermare la rivoluzione antropologica in atto.
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