Con lui − l’uomo più visto al mondo − la figura del poeta si fa universale, poliglotta. Il poeta è un «trovatore» della verità: la linfa del giovane poeta Karol è rimasta intatta nel robusto, vecchio pontefice
Entrare nella poetica di un simile artista e come seguire un ruscello controcorrente, risalire dalla valle lungo il pendio e poi per il versante tra le conifere, costeggiando il corso d’acqua che si fa più piccolo alle sorgenti: infine, la dove tutto e quiete, fermarsi presso il luogo delle origini. Sto alludendo alla biografia di WojtyÅ‚a: alle escursioni in montagna sui Tatra col padre, all’invenzione delle camminate tra i boschi come ritiro spirituale per giovani coppie di fidanzati, alla stessa passione di atleta per le discese con gli sci o con la canoa. Sono eventi senza i quali la poesia wojtyliana resterebbe senza scenario.
Per entrare nell’aura dei versi occorrerebbe, ovvio, ascoltarli in lingua originale: nella dizione polacca, coi suoi suoni allusivi, ma dobbiamo accontentarci delle traduzioni. Non bisogna nemmeno porre in secondo piano l’immagine, bianchissima, del Santo Padre Papa Giovanni Paolo II lungo i ventisette nni di pontificato: con lui (l’uomo più “visto” al mondo) la figura del poeta si fa universale, poliglotta, un pellegrino a braccia aperte.
Infine, ci aiutano gli ultimi ricordi della sua vita terrena: un vecchio infermo, segnato dalla malattia accettata come un segno di Gesu crocifisso, ma anche un anziano vitale, come racconta ad esempio George Weigel nella biografia: una volta, a Castel Gandolfo, d’estate, a due ospiti polacchi che alloggiavano in una camera proprio al piano di sotto, il Papa chiese se il rumore dei suoi passi, ogni mattina prima dell’alba, accompagnato dal ticchettio del bastone, li disturbasse.
Risposero di no, perché comunque si alzavano per andare a messa, ≪ma − gli domandarono − tu perche ti alzi cosi presto?≫. ≪Perché – cosi rispose il duecentosessantaquattresimo successore di Pietro – mi piace veder sorgere il sole≫. Dunque un artista solare.
Raggi di paternità
E il bambino meninho da rua (bambino di strada) che in Brasile si getta, piangente per l’emozione, tra le braccia di Giovanni Paolo II, presso un enorme altare in mezzo alla folla dei fedeli brasiliani, fu uno dei mille segni: che i fanciulli andassero a lui per una forza gravitazionale era indiscutibile, forse perché in ognuna delle tante lingue che parlava, WojtyÅ‚a gia solo sorridendo pronunciava muto la frase che tutti sentiremmo dire nel silenzio di Dio, se lo ascoltassimo davvero: ≪Tu sei uno a cui volere bene≫. E questa frase ci viene rivolta non solo per rivolgerla agli altri, ma a noi stessi.
WojtyÅ‚a poeta va infatti trovato attraversando la sua vita, dalla fine verso l’inizio: da quando, appena quarantasettenne, venne creato cardinale da Paolo VI e anche prima. L’anno precedente aveva predicato una veglia pasquale, intitolata Storia dell’albero ferito (Zranione Drzewo), nella quale leggiamo: ≪Disse l’albero: Non temere, se sto morendo – non temere di morire con me, non temere la morte – perche, guarda, rivivo: non temere di morire con me per rivivere. Dissi: – Ebbene, cresci e superami […] Si crea allora uno spazio dove ognuno ha il suo posto e ognuno resta se stesso pure ricominciando la vita≫.
In effetti, si compiva, nel suo petto, in queste frasi dall’accento giovanneo ma anche teutonico, la fusione desiderata invano da tante altre personalità della cultura, cioè l’innesto fecondo tra il frutto del paganesimo slavo e il fiore della fede cristiana.
Inoltre, il prete era diventato spiritualmente padre, con una immedesimazione niente affatto psicologica ma reale, che solo la poesia sa esprimere. Cosi scrive in Raggi di paternità (pubblicato a Cracovia nel 1964 con lo pseudonimo di Andrzej JawieÅ„):
≪L’indomani ci capito di camminare nel folto / del bosco. Sul limitare della selva, / la dove finiscono i magnifici pini d’alto fusto / e con loro l’ombra, la dove gli alberi finiscono / e con loro gli aghi e il muschio, / la dove finisce il morbido sottobosco e inizia una radura: / un intrico di cespugli e polloni, attraverso cui / occorre aprirsi un varco per raccogliere lamponi e more. / Il nostro cammino passa per di la. / Pero non basta guardare dal di fuori. Devi entrarci. / La boscaglia che e in me tu la conosci: quanti uomini / si convinceranno che nessuno di noi / e una totalità chiusa e definitiva?≫.
Qui, in questa sequenza lirica, il poeta s’imbatte nella situazione tipica, nel topos letterario della selva: come il Dante viator all’inizio della Commedia, egli deve accettare di inoltrarsi per uno spazio incognito, perché cosi vuole il destino segnato dal Creatore.
E la creatura umana deve comprendere che la vita e un dono, cosa che si sperimenta affidandosi del tutto a Dio, che guida l’io e lo rende completo.
E sono versi in cui parla una voce umana che ha accettato di generare, non secondo la carne, ma secondo lo spirito del Vangelo. Sacerdote e poeta convivono nelle vesti di un uomo vero, comune e straordinario nel contempo.
Nel Pellegrinaggio ai luoghi santi (sempre nel 1963) scrisse: ≪Il mio spazio e dentro di Te. Il Tuo spazio e dentro di me. E infatti uno spazio di tutti gli uomini. Pure, in quello spazio, non mi sento sminuito dagli altri≫. L’esatto opposto dell’umanesimo esistenzialista trionfante all’epoca, nell’idea di Sartre per cui ≪l’inferno sono gli altri≫.
Trovare la verità
Quattro mesi prima di divenire vescovo di Cracovia (1958), aveva pubblicato il poema Profili di Cireneo, ritratti di ≪individui≫ contemporanei: profondissimo il ritratto dell’operaio di una fabbrica automobilistica. WojtyÅ‚a conosceva di persona il lavoro fisico (novità assoluta per la poesia), dato che a vent’anni, per evitare la deportazione nei Lager, lavoro a lungo come operaio prima nelle cave e poi nelle industrie chimiche Solvay, mentre era un seminarista in incognito.
Prima ancora, fu studente appassionato di teatro: sapeva recitare benissimo. Da vero poeta, la risposta alla vocazione non avvenne per esclusione ma per amalgama: il poeta non e un cercatore ma, come dice l’antico nome, un ≪trovatore≫. Al riguardo, nell’opera Fratello del nostro Dio (1949), c’è un passo: ≪Ho cercato fra tante verità. […]. La verità e ciò che infine viene a galla come l’olio nell’acqua. In questo modo la vita ce la svela […] a poco a poco, in parte, ma continuamente. Inoltre essa e in noi, in ogni uomo. La portiamo in noi, e più forte della nostra debolezza […]. Ed e cosi in uno, in due, in cento uomini.
Che cos’e la verità? Dove si trova? La vita e fatta di uomini attraverso i quali essa scorre ampiamente e alla foce si incontra con una nuova luce che da loro emana. Si, si […] esistono uomini uniti alla Verità, i quali non si allontanano dal suo cammino, ma grazie a un equilibrio interiore rimangono tra le sue braccia≫.
Da ragazzo, chiamato“Lolek” dagli amici, era stato ottimo studente e portiere nella squadra di calcio; ma poi ogni speranza era stata spezzata dall’invasione hitleriana in Polonia. Intanto pero, in quello stesso 1939, aveva scritto, nella poesia Magnificat, la propria lettera d’amore esplicito a Dio:
≪Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi / la mia strada e fitta di betulle, fitta di querce. / Ecco, io sono la terra dei campi, sono un maggese assolato, / ecco, io sono un giovane crinale roccioso dei Tatra. / Benedico la Tua semina a levante e a ponente. / Signore, semina generosamente la Tua terra / che diventi un campo di segale, un folto di abeti / la mia giovinezza sospinta dalla nostalgia, dalla vita. / La mia felicità – grande mistero – Ti esalti / perché hai dilatato il mio petto in un canto primordiale, / perché hai permesso al mio volto di tuffarsi nell’azzurro, / perché hai fatto piovere nelle mie corde la melodia / e in questa melodia Ti sei svelato in visione / attraverso il Cristo≫.
Insomma, la linfa del giovane poeta Karol WojtyÅ‚a e rimasta intatta nel robusto, vecchio pontefice: chissà di che cosa cantavano le sue Ballate dei Beschidi, la prima raccolta, che andò perduta… â–
Ricorda
≪A un certo livello, verosimilmente il più alto, la parola del poeta tradisce la stessa origine e scaturigine della parola profetica≫. (Mario Luzi, La naturalezza del poeta. Saggi critici, Garzanti, Milano 1995, p. 154).
Per saperne di piu…
Karol Wojtyła, Le poesie giovanili, Studium, 2004.
Antonio Spadaro, Nella melodia della terra, Jaca Book, 2006.
Santino Sparta, L’opera poetica completa di Karol WojtyÅ‚a, Libreria Editrice Vaticana, 2012.
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl