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22.12.2024

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La vera scienza? E’ la filosofia
31 Gennaio 2014

La vera scienza? E’ la filosofia

 

 

 

Le realtà sensibili studiate dalle scienze empiriche trasmutano, mentre la vera scienza ha un valore di verità universale e perenne. Perciò la vera scienza è la filosofia, perché può accedere ai primi principii che forniscono la spiegazione della realtà.

 

 
 
Contrariamente a quanto, oggi, ritiene la maggior parte d gli intellettuali e dell'opinione comune, gli antichi pensavano che il sapere vero, la scienza, non fosse quello empirico.
Da sempre la scienza, come tentativo di conoscere le ragioni dei fenomeni, è contemporanea all'esistenza dell'uomo; la domanda sul senso delle esperienze e la ricerca degli strumenti adeguati alla soluzione dei problemi sono connesse alla natura dell'intelletto e perciò non è pensabile un'epoca in cui l'uomo non abbia elaborato risposte razionali per capire il comportamento della natura e per migliorare, di conseguenza, la propria condizione di vita.
La prima definizione chiara dell'idea di scienza è formulata dai greci ed è all'origine della cultura occidentale. Per loro, la scienza (epistéme) è il vero sapere perchè possiede i primi principii che forniscono la spiegazione della realtà, ed è quindi universale e necessaria. Il primo e fondamentale principio di ogni scienza è quello di "non-contraddizione", secondo cui una cosa (ad esempio una rosa) è sé stessa e non può essere il suo contraddittorio, nello stesso tempo e dallo stesso punto di vista. Questo principio è assolutamente vero, in quanto esprime una legge necessaria ed universale, sia dell'essere che del pensiero, in quanto quest'ultimo si regola sull'essere, altrimenti le parole non hanno significato e il pensiero si autodistrugge.
Il principio di non-contraddizione e il principio secondo cui «il tutto è maggiore delle parti», sono "principii primi", in quanto non dipendono da altri; essi sono immediatamente evidenti e perciò non hanno bisogno di essere dimostrati, costituendo anzi la condizione di ogni possibile dimostrazione. Si può con facilità constatare che la percezione sensibile non è l'unica fonte della conoscenza dei principii primi: le realtà sensibili che consentono di coglierli e formularli mutano, mentre essi hanno un valore di verità universale e perenne.
Per i greci questo ideale di scientificità è raggiungibile solo per mezzo della filosofia, perchè solo quest'ultima studia la realtà nei suoi aspetti immutabili (la natura della rosa ha un'identità che permane e non appassisce come la singola rosa), mentre le scienze empiriche, che studiano gli aspetti delle cose soggette al mutamento, non possono per loro stessa natura costruire un sapere universale, necessario e, di conseguenza, assolutamente certo.

Il cambiamento dell'età moderna
Fino all'età moderna le conoscenze a cui perviene lo studio della realtà naturale si integrano e dialogano con tutte le altre, comprese quelle etiche, metafisiche e religiose. L'idea di fondo è che, essendo unica la realtà studiata nei distinti ordini di conoscenza, i risultati conseguiti non potranno essere contraddittori, a patto che non s'introducano inferenze ingiustificate o errori di metodo.
La scienza moderna, con Galileo Galilei (1564-1642), non si stacca da questa prospettiva, ma il metodo scientifico diventa più critico e consapevole. Galileo compie una scelta metodologica: per studiare la natura e scoprire le sue leggi utilizza il linguaggio matematico ed il metodo induttivo-sperimentale. Ciò che gli interessa della realtà è quanto può essere accertato empiricamente e misurato quantitativamente. I dati osservati e misurati sono la base che consente di formulare leggi con valore universale e necessario. Solo in seguito, con l'incontro tra la scienza galileiana e il progetto di Francesco Bacone (1561-1626) di affidare alla prassi (tecnica) il compito di trasformare la realtà, il metodo induttivo ed il linguaggio matematico diventano norma assoluta di ogni scienza e di tutta la scienza.
In questa prospettiva, la filosofia assume dignità di scienza soltanto nella misura in cui ha lo stesso rigore della matematica. S'intende qui il senso e la portata della domanda di Kant sulla possibilità della metafisica come scienza: se si sceglie di delimitare l'ambito della verità a quello delle conoscenze misurabili, la metafisica non può essere considerata scienza, ma solo un ideale regolativo della ragione. Così, nella modernità, diventa convinzione comune che soltanto la scienza empirica è in grado di cogliere le leggi universali e necessarie della natura e perciò di accedere alla verità. È la morte della metafisica come scienza.

La crisi della scienza moderna
Ora, però, a ben vedere, le leggi scientifiche sono descrizioni di come accade un fenomeno, ma esse non spiegano il perchè dell'avvenire del fenomeno. Per spiegarlo bisogna ricorrere a teorie che, mediante un'ipotesi (non una legge), cerchino di darne le ragioni.
Se, ad esempio, osservo che riscaldando il ferro esso si dilata e formulo la legge universale: «i metalli riscaldati si dilatano», non ho spiegato perchè questo accade. Per spiegarlo devo introdurre un'ipotesi sulla struttura della materia, sui legami esistenti tra i suoi Ino elementi costitutivi e sull'effetto che l'energia sotto forma di calore può determinare in essa.
In altre parole, la conoscenza della verità non 10, può essere ridotta all'esperienza ed alla sua generalizzazione, è necessario inquadrare il particolare nell'universale.
Lo sviluppo stesso della scienza ha in effetti suscitato problemi: il "principio di indeterminazione" di Heisemberg (secondo cui in determinate condizioni è impossibile prevedere l'esatto comportamento delle particelle atomiche ha favorito l'affermazione di un certo scetticismo. Oggi poi convivono visioni antitetiche del sapere scientifico. Accanto alla convinzione razionalista, secondo cui solo la scienza empirico-sperimentale è capace di raggiungere la verità, si è affermata una visione scettica, sostenuta ad esempio dai fisici della scuola di Copenhagen, come Bohr, i quali affermavano d'ignorare se il mondo di cui si occupa la fisica avesse o no a che fare con la realtà. Entrambe queste prospettive svalutano la filosofia, nel primo caso perchè la filosofia opera attraverso inferenze le cui conclusioni non sono accertabili sensibilmente, nel secondo perchè si mette addirittura in dubbio che la conoscenza abbia a che fare con il reale.
Da queste considerazioni possono essere tratte alcune conclusioni:
1. Contrariamente alle convinzioni diffuse, è la filosofia la vera scienza, perchè consente l'accesso alla conoscenza della verità universale e necessaria.
2. La scienza sperimentale non può dare una rappresentazione vera e definitiva della realtà.
3. La scienza sperimentale non può essere né scettica né relativista, perchè si serve continuamente del reale come elemento di controllo delle sue teorie.

 

RICORDA

«Chi possiede la scienza dell'universale […] sa, sotto un certo rispetto, tutte le cose particolari in quanto queste sono soggette all'universale. E le cose più universali sono […] le più difficili da conoscere per gli uomini: sono, infatti, le più lontane dalle apprensioni sensibili».
(Aristotele, Metafisica, 982 a 21-25).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Evandro Agazzi, Il significato dell'oggettività nel discorso scientifico, in Fabio Minazzi (a cura di), L'oggettività della conoscenza scientifica, Ed. Franco Angeli,1996.
Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi, 2007.



 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 84 – ANNO XI – Giugno 2009 – pag. 32 – 33

 

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